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Tante le novità in vista per la  XIV Edizione di Asiatica, Incontri con il cinema asiatico, il Festival diretto da Italo Spinelli,  dal 12 al 20 ottobre 2013 alla Pelanda dell'ex-Mattatoio, a Roma nel quartiere Testaccio.
 
 
L'Opening della manifestazione prevede due eventi speciali dedicati all’Iran. Sabato 12 il Festival sarà inaugurato dal concerto per solo piano ''Picturesque'' del celebre pianista e compositore iraniano Peyman Yazdanian. Come compositore di colonne sonore Yazdanian ha collaborato con i più importanti cineasti iraniani tra cui: Abbas Kiarostami, Jafar Panahi, Asghar Farhadi e cinesi come Li You e Lou Ye. Per la colonna sonora del film ''Mistery'' ha ricevuto la candidatura al  premio per il miglior compositore di cinema asiatico agli Asian Film Awards di Hong Kong nel 2012.
Seguirà la proiezione speciale del film ''Ragbar'' (1971), il primo capolavoro di Bahram Bayzai pioniere, alla fine degli anni sessanta, del nuovo Cinema Iraniano. Il restauro del film è stato realizzato nel 2011 dalla World Cinema Foundation presso il laboratorio L'immagine Ritrovata, cofinanziato  dal Doha Film Institute.  Il restauro ha richiesto oltre 1.500 ore di lavoro. 
Incontri di Asiatica (Domenica, 13 alle 17) ha un ospite d’eccezione. Ashis Nandy, antropologo e psicologo, uno dei più stimati intellettuali indiani; l’incontro sarà incentrato sul tema della rappresentanza democratica dei diritti e tutela delle minoranze nel mondo globalizzato.
Le nove giornate di festival includono 47 lungometraggi e 31 cortometraggi, alla presenza degli autori delle opere in competizione. Film inediti del cinema indipendente asiatico provenienti da Afganistan, Bangladesh, Cambogia, Cina, Corea, Filippine, Giordania, Hong Kong, India, Indonesia, Iran, Irak, Kazakistan, Mongolia, Pakistan, Singapore, Siria,Taiwan, Thailandia, Turchia.
Apre la competizione ''A Fallible Girl'' di Conrad Clark una storia di due giovani donne cinesi tra Dubai e Abu Dhabi, alle prese con le complicazioni della globalizzazione.
''Television'' è del bengalese Mostofa Sarwar Farooki, regista destinato a divenire, secondo The Hollywood Reporter, tra i più famosi del sud-est asiatico mentre Variety lo segnala come ''elemento cruciale del nuovo movimento del cinema del Bangladesh''.
Dalla Turchia ''Yozgat Blues'' è la storia di un'amicizia tra un cantante cinquantenne, la cui  carriera è andata a rotoli, e una sua giovane allieva, promoter in un supermercato.
Payman Maadi ha iniziato la sua carriera come sceneggiatore e attore con Asghar Farhadi. ''Snow on Pines'' è il suo debutto come regista e mostra una crisi coniugale con le prospettive di vita che si aprono dopo la separazione. Film rivelazione della nuova onda della cinematografia impegnata iraniana.
Dalla Corea del Sud, ''The Stone'' di Cho Se-rae, racconta il rapporto tra il capo di una banda criminale e un giocatore amatoriale di Go, si trasforma in un mix drammatico tra regole del mondo crimine e etica del gioco.
Altre opere in programma: il più recente film di Brillante Mendoza ''Possessions'', lo sconvolgente ''Moebius'' di Kim Ki-duck e, dal  maestro del cinema indonesiano Garin Nuogro, ''Soegija'' il diario del primo vescovo cattolico in Indonesia.
Tra i film fuori competizione ''Vara:A Blessing'' di Khyentse Norbu, che è stato l'opening film del Festival di Pussan. Dall'India, il pluripremiato ''Ship of Theseus'' di Anan Gandhi, filmaker e scrittore, profondamente interessato alla filosofia, psicologia e magia.
Ritorna lo Sguardo Sul Mondo Arabo,  particolarmente ricco e intenso. L’apertura  della sezione, creata nel 2011, si terrà domenica 13, con il documentario  dalla Siria ''Untold Stories'', alla presenza del regista Hisham al- Zouki, che ha seguito il viaggio di una ragazza siriana, che lasciando Damasco torna alla sua città natale, dove infuria la guerra civile.
Dall’Algeria ''Les jours d’avant'' di Karim Moussaoui, ambientato alla periferia meridionale di  Algeri nel fatidico 1993, racconta il difficile rapporto di due giovani,  che hanno praticamente smesso di credere che sia possibile comunicare l'uno con l'altra. Nella loro relazione in  poco tempo la violenza, precedentemente distante e attutita, esplode con irruenza.
 
''Democracy Year Zero'' di Amira Chebli, regista che sarà presente al Festival, racconta la rivoluzione tunisina  a partire dalle rivolte nella regione mineraria di Gafsa, nel gennaio 2008, fino alle prime elezioni libere del 2011.
 
''Bahrain The Forbidden Country'', il paese proibito della rivoluzione araba, è l'oggetto del documentario della giovane regista  francese Stephanie Lamorré (che sarà presente alla proiezione)  che presenta rare immagini, girate clandestinamente,  della repressione “dimenticata” dai media.
In ''Rafea Solar Mama'' una donna beduina che vive con le sue quattro figlie in uno dei piu poveri villaggi desertici al confine tra Giordania e Iraq diventa la protagonista di un viaggio che la porterà in India e di nuovo in Giordania per essere la prima donna ingegnere dell’energia solare, in contrasto con la mentalità tradizionalista della sua comunità. Le registe di questo film, premiato al Sundance, sono entrambe egiziane nate, cresciute e residenti al Cairo.
''Gaza Calling'' Una famiglia con un figlio a Ramallah, che, per le autorità israeliane, ha commesso lo stesso “crimine” di tutti suoi parenti: essere residenti a Gaza, quindi “infiltrati” nel loro stesso territorio.
Dalla Palestina anche un corto pieno d’ironia tutto al femminile su cosa pensano dell’amore donne, giovani e meno giovani, in attesa dei consigli custoditi, nei fondi di caffè, abilmente letti e interpretati.
Il documentario''Buka Barane'' proviene dalla regione Hakkari, a maggioranza di abitanti kurdi e mostra l’impatto della guerra tra l’esercito turco e la guerriglia dei curdi, raccontata da chi allora era bambino.
Jumping Frames è la selezione di cortometraggi di videodanza proposti dal City Contemporary Dance Company di Hong Kong. Tredici corti a cui seguiranno anche momenti di dibattito tra artisti e spettatori.
Prosegue l'appuntamento con Archivio a Oriente, un’esperienza nata nel 2011, per la produzione di cortometraggi nell'ambito del festival stesso. Insieme all'Istituto Luce Cinecittà. propone a registi asiatici di lavorare su materiali di repertorio dell’Archivio Storico Luce a Roma per creare ex novo dei cortometraggi, secondo la loro libera e personale interpretazione del materiale fornito.
Alla musica, legata alle immagini, Asiatica dedicherà uno spazio particolare, con una serie di concerti, sonorizzazioni e performance sonore live di giovani musicisti, allievi del Master SONIC ARTS dell'Università di Roma Tor Vergata.
Dei Corti di Animazione Giapponese, creati tra gli anni '20 e '30 dai pionieri dell'animazione giapponese, saranno sonorizzati dal vivo. La selezione è in collaborazione con la Cineteca Nazionale,  l’Archivio Storico dell’Istituto Luce e il National Film Centre of Tokyo.
Dall'India i Cortometraggi dello FTII (il Film and Television Institute of India con sede a Pune), una sezione che nasce dalla collaborazione tra Asiatica, il Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) e il Film and Television Institute of India (FTII) per favorire lo scambio tra principali scuole di cinema italiane e indiane.
Saranno proiettati anche i 9 Cortometraggi del 9filmfest: i filmati finalisti al festival di Bangkok in Thailandia tutti caratterizzati dalla durata massima di 9 minuti.
 
Per ultima, ma non per importanza, InsideOut Videoarte – “Audiovisioni d’oriente” (www.insideoutplatform.org), sezione speciale della piattaforma di scambio culturale tra Italia e Cina nata dalla collaborazione di C.A.R.M.A.- Centro d'Arti e Ricerche Multimediali Applicate e ITACI Art&Cult, propone ad Asiatica FilmMediale una selezione sviluppatasi come occasione d’incontro e confronto tra artisti intermediali italiani e cinesi, per uno sguardo differenziato sulla storia e l’attualità del fenomeno Cina. La mostra espone una pluralità di tecniche, soluzioni formali, approcci e punti di vista, nel tentativo di costruire una drammaturgia di differenze tale da disegnare uno spazio mentale che possa disporsi a contribuire attivamente alla formazione di una nuova globalità caratterizzata dal dialogo tra le culture. Gli artisti in mostra sono: Piero Chiariello, Igor Imhoff, Zhou Yi, Mario Raoli, Rebecca Ruige Xu, Lino Strangis, Miao Xiaochun, Zhou Xiaohu e Tian Xiaolei.
 
Maggiori informazioni consultando www.asiaticafilmmediale.it

Il mondo di Mad

Mercoledì 09 Ottobre 2013 11:43 Pubblicato in Recensioni

“Il mondo di Mad” è variopinto, è un modo fatto di colori e di simpatiche figure longilinee, un mondo caldo e coinvolgente.

Anna Di Francisca porta in scena un documentario incentrato sulla figura di Mad, alias Maddalena Sisto, celebre pittrice, scrittrice e giornalista di moda. 
La regista milanese compie un lavoro attento e sorprendente su un personaggio straordinario - troppo spesso trascurato - una donna che con il suo estro riuscì a cambiare e stravolgere il “modo” di parlare di moda e di donna. 
Siamo agli inizi degli anni ’70, gli anni dei grandi cambiamenti culturali, dei movimenti di protesta giovanile, gli anni delle grandi firme, gli anni in cui Milano diventa una delle Capitali della moda più note al mondo. 
E’ proprio da qui che ha inizio la storia di Maddalena: inviata “in prima linea” alle sfilate più chic della città. 
I suoi articoli escono sulle pagine di Sette (inserto del Corriere della Sera), Vogue e Elle: a caratterizzare il suo lavoro l’abitudine di disegnare sul suo blocco schizzi colorati dei capi.
I suoi disegni/appunti sembrano parlare: le modelle appaiono sempre altissime, magre e con piedi enormi.
Nonostante ad una prima occhiata risultino piuttosto buffe, le “donne”di Mad riescono a trasmettere fedelmente i particolari e le caratteristiche di una nuova collezione, sono testimoni del cambiamento. 
In poco tempo Maddalena riceve riconoscimenti dalla maggior parte degli stilisti italiani e dal mondo della moda in generale.  
Di Francisca ripercorre passo dopo passo, intervista dopo intervista, tutto il percorso artistico di Mad, dagli anni ‘70 al 2000: la sua opera diventa un manifesto della donna contemporanea, del suo modo di affrontare la vita e della sua lotta per l’affermazione professionale.
Grazie ad una grande quantità di materiale – 12.000 disegni autentici – alle interviste di personaggi come Missoni e Fiorucci e ad un’animazione realizzata ad hoc, “Il mondo di Mad” ci catapulta in una sorta di universo parallelo, dalle “tinte” rivoluzionarie, forti, indipendenti. 
Nonostante la sua morte (avvenuta prematuramente a causa di una malattia), Maddelana Sisto sembra non invecchiare mai, le sue opere sembrano provenire da una sorta di ‘Isola che non c’è’.
La regista milanese ce la presenta come una Amelie tutta italiana, un Peter Pan al femminile…
Nel “Mondo di Mad” la fantasia può avvolgere, cambiare e far parlare il mondo. 
 
Silvia Marinucci
 

La seconda natura

Mercoledì 09 Ottobre 2013 11:24 Pubblicato in Recensioni

Marcello Sannino porta in scena la storia dell’avvocato, mecenate e umanista Gerardo Marotta. 

Il suo ritratto cinematografico è un insegnamento di vita.
 
Su che cosa si basa oggi lo Stato Sociale? Pensando al nostro Bel Paese, soprattutto in questo periodo di incertezze e turbamenti, non vengono in mente capisaldi, né correnti ideologiche alle quali appigliarsi o dalle quali ripartire. Le speranze svaniscono in un fiume in piena che porta via tutto, quello dell’ignoranza, della poca curiosità, della sdrucita formazione scolastica. 
Eppure da qualche parte c’è ancora qualcuno che crede nella cultura, nelle libere correnti di pensiero, qualcuno che ancora “combatte”.  
Non parliamo di gruppi di attivisti organizzati, né di coalizioni politiche, ma di un uomo: una persona che ogni giorno porta a termine la sua battaglia a colpi di libri. 
E’ Gerardo Marotta il protagonista assoluto de “La seconda natura”, il nuovo documentario di Marcello Sannino, un ritratto cinematografico, un omaggio, ma soprattutto un regalo. 
Il regista segue il suo uomo nella quotidianità, ripercorrendone la vita dalla fondazione dell’Associazione “Cultura Nuova” alla creazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, punto di riferimento per gli studiosi di tutto il mondo.  
Marotta è dunque un avvocato, un mecenate, un filosofo, un umanista in guerra da sempre per l’affermazione della cultura come strumento di giustizia sociale.  
“Non c‘è pace senza cultura”, afferma; è necessario risvegliare le tradizioni culturali addormentate dalla burocrazia: le idee sono morte e il popolo è rassegnato.
Guardando e ascoltando la voce di questo anziano e gracile omino non si può fare a meno di rimanere ammaliati, “La seconda natura” è un’occasione più unica che rara per aprire la propria mente: una lezione di storia, filosofia e politica che non si trova di certo sui libri. 
Sannino rievoca alla mente un passato lontano, grazie ai racconti del suo protagonista e al montaggio di straordinarie immagini di repertorio: seppure il suo documentario sia un pugno nello stomaco per animi e coscienze, riesce a contagiare gli spiriti e a riaccendere le speranze. 
L’avvocato napoletano fa venire i brividi nella parte finale, si chiede (ci chiede) dove sono finiti i giovani come Gramsci pronti a fare la rivoluzione,  quella che non ha niente a che fare con la presa della Bastiglia. Marotta parla di quella rivoluzione che pianta nel cuore un principio, un demone in grado di ardere, crescere e mantenere un giovane vivo, non morto. 
Noi non abbiamo saputo rispondergli. 
 
Silvia Marinucci
 

The Grandmaster

Mercoledì 09 Ottobre 2013 11:07 Pubblicato in Recensioni

“Kung fu, due parole, orizzontale e verticale”

Era da anni che Wong Kar-wai aveva annunciato di volere realizzare un film di arti marziali come quelli tanto popolari in estremo oriente; un modo per discostarsi dai suoi ultimi lavori ed evitare l'accusa di regista manierato, mossagli dai detrattori. Un film dedicato alla figura di Ip Man, leggendario insegnante di kung fu, famoso anche per essere stato maestro di un giovanissimo Bruce Lee. Dato che i suoi tempi di lavorazione sono notoriamente lunghi, a Hong Kong hanno fatto in tempo ad uscire altre pellicole su questo personaggio prima che “The Grandmaster” fosse pronto. Fortunatamente “Ip Man” e “Ip Man 2”  di Wilson Yip con Donnie Yen nel ruolo del protagonista, ai quali vanno aggiunti “The Legend is born” con Yu-hang To (dedicato agli anni giovanili) e “Ip Man: The Final Fight”, con un bravissimo Anthony Wong (riguardante invece gli anni della maturità), entrambi diretti da Herman Yau, non hanno stancato il pubblico, evidentemente affezionato al maestro del Wing Chun; arrivato in sala, “The Grandmaster” ha incassato molto, divenendo, fra i film del maestro di “In the Mood for Love” e “2046”, quello più fortunato al botteghino. Dopo avere aperto fuori concorso il festival di Berlino (dove Wong era presidente di giuria), “The Grandmaster” è stato anche scelto per rappresentare il cinema di Hong Kong ai prossimi Oscar; una bella soddisfazione per il regista nativo di Shanghai, anche se l'Academy in passato non si è dimostrata troppo attenta nei suoi riguardi.
Contrariamente a quanto Wong aveva dichiarato, “The Grandmaster” non si segnala per una trama particolarmente lineare e piuttosto di raccontare la biografia di Ip Man in maniera convenzionale, come avevano fatto i precedenti film, preferisce mostrarcelo alle prese con alcuni incontri che hanno segnato la sua esistenza. Conoscendo le varie scuole di kung fu, Ip Man arriva alla conclusione, e noi con lui, che non esiste un solo grande maestro, ma più di uno (e anche la distribuzione internazionale è stata per un po' incerta su questo aspetto, visto che era stato pensato di distribuirlo col titolo al plurale, “The Grandmasters”).
A inizio film siamo nel 1936 e un Ip Man quarantenne vive sereno coi propri familiari a Foshan. Appartenente ad una famiglia agiata, ha potuto praticare le arti marziali per tutta la vita senza doversi preoccupare d'altro. Già la frenetica sequenza di combattimento iniziale (le coreografie sono di Yuen Woo-ping, maestro che ha fornito il suo impareggiabile contributo a film come “La tigre e il dragone”, “Matrix” e “Kill Bill”) ci fa capire com'è la sua vita, fatta di duelli ma anche di serate nei locali più eleganti della città in compagnia della moglie o disquisizioni con altri maestri di kung fu. 
L'incontro più importante è quello con Gong Er, orgogliosa figlia di Gong Dobei, un avversario sconfitto. Decisa a vendicare l'onore del padre, che poi verrà ucciso da un allievo traditore, la ragazza sfida Ip Man: più che un duello all'ultimo sangue il loro è una sorta di tira e molla destinato a durare anni, un legame indissolubile ma allo stesso tempo destinato a rimanere sospeso, come spesso lo sono nel cinema di Wong Kar-wai. Sarà la guerra a cambiare tutto e Ip Man sarà costretto ad affrontare anni difficili: dovrà rinunciare al suo stile di vita, sarà costretto a trasferirsi ad Hong Kong, a cercare un lavoro (naturalmente insegnante di arti marziali) e ad abbandonare la sua famiglia. 
Il film è assolutamente spettacolare a livello visivo, magnifico nella fotografia di Philippe Le Sourd e Song Xiaofei (ma è un peccato che il sodalizio tra Wong e l'australiano Christopher Doyle si sia interrotto). Irrinunciabile anche il contributo di William Chang, che ha creato scenografie e costumi curatissimi, oltre ad avere partecipato al montaggio. Molto suggestivo il commento musicale di Shigeru Umebayashi e Nathaniel Méchaly (con la “Stabat Mater” di Stefano Lentini), dagli echi morriconiani (e il film per la sua riflessione sul valore della memoria è stato accostato a “C'era una volta in America”, ma è pur vero che quello è una tematica ricorrente nel cinema di Wong). Tony Leung, attore feticcio del regista, è un Ip Man molto fascinoso ma è Zhang Ziyi, nei panni di Gong Er, credibile e intensa nelle scene d'azione come in quelle drammatiche, a lasciare un segno indelebile. La moglie del protagonista è interpretata dall'attrice coreana Song Hye-kyo (attesa nel prossimo lavoro di John Woo) ma il suo ruolo è piuttosto ridotto (come del resto negli altri film su Ip-Man); Chang Chen fa qualche fugace apparizione nei panni del personaggio denominato il Rasoio, un altro maestro la cui strada sfiora quella dei protagonisti, senza però diventare mai parte integrante della trama, risultato forse di alcuni aggiustamenti durante il montaggio.
Uscito in patria nella versione da 130 minuti, “The Grandmaster” arriva in Italia in quella da 108 che è stata distribuita in America. Molti hanno imputato a questi tagli una certa fumosità nella trama, dimenticando il metodo di lavoro di questo maestro: cinema di atmosfera e suggestioni, il suo, dove fortunatamente certi didascalismi hanno poco spazio.
 
                                                                                          
Mirko Salvini