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Cosa fa di una storia inquietante un ottimo esempio di cinema horror? Sicuramente tanti elementi capaci di coesistere e contaminarsi reciprocamente generando un intreccio in cui la suspense e il colpo di scena riescono ad alternarsi in modo equilibrato. Accade molto poco ultimamente, ma ci sono pellicole che possono tracciare una linea definita su quello che si è finora narrato al cinema. La A24 è stata probabilmente una delle poche ad avere puntato gli occhi su autori carismatici ancora poco conosciuti, investendo in modo lungimirante ed acuto in progetti nuovi, vettori di un inedito concetto di cinema horror. Il duo registico composto dai gemelli Philippou è destinato a diventare un punto di riferimento per gli appassionati del genere, riscrivendo con maggiore convinzione ciò che il cinema contemporaneo d’oltreoceano ha tentato di raccontarci in svariati esempi di storie del terrore: il contatto tra terreno ed ultraterreno. Ciò che finora non ha funzionato in molti film è la totale assenza di originalità nella trama, vittima di un intreccio molto scontato che finisce poi per demolire le seppur deboli basi esposte nella premessa. Morale della favola, molti film horror finiscono per somigliarsi l’uno con l’altro senza permettere allo spettatore di entrare nel cuore della storia e di provare pertanto paura. La fretta è antagonista della suspense, e soprattutto è un elemento che poco si concilia con la chiarezza e la credibilità di molti passaggi necessari affinché un horror possa spaventare il pubblico. Detto ciò, con Talk to me siamo di fronte ad un momento chiave della cinematografia del terrore quello in cui si pongono delle basi importanti e differenti dalla visione soprannaturale finora sviluppatasi in tantissime opere minori. Nonostante si ricalchi il terreno del feticcio, mezzo attraverso il quale si apre una porta temporale con l’aldilà, il racconto assume un tono più drammatico e attento alle dinamiche interiori dei personaggi, qui finalmente approfonditi in modo dignitoso. Nel film, la protagonista Mia, ha diciassette anni ed è reduce da una situazione familiare tragica legata al triste suicidio della madre,  da tempo afflitta da una profonda depressione. Una sera come tante, Mia si ritrova a casa di amici senza sapere che quella festa tra coetanei avrà come catalizzatore una seduta spiritica. Quel momento sarà soltanto l’inizio di una lenta ed inesorabile discesa negli inferi, che sfocerà nell’infausto contatto tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Il duo registico dei fratelli  Philippou, australiani e conosciutissimi su youtube per le loro piccole opere d’orrore a puntate, ha da subito attirato l’attenzione della A4 che in precedenza aveva già puntato gli occhi addosso ad autori di un certo carisma e sempre di matrice australiana, vedi la folgorante Jennifer Kent regista di Babadook. Insomma, l’Australia sembra non sbagliare un colpo in fatto di autorialità horror, proponendo idee sempre innovative e mai modellate su quelle statunitensi (che di per sé è già una grande vittoria). Talk to me convince per la volontà di scrollarsi di dosso il solito contorno soprannaturale, fatto di spiriti che gattonano tutti allo stesso modo, frutto di un immaginario che va rivisitato ampiamente. Semina ciò che di buono possiamo apprezzare in un film horror e quindi, ambiguità e profili psicologici più complessi e per questo maggiormente credibili. Certo è che nella sua ambizione a distaccarsi dalla solita storiella disegnata su jump scare e rantoli demoniaci, trascura un po' troppo quello che è lo scopo principale di un film horror: spaventare. Stiamo facendo passi da gigante rispetto a qualche anno fa, ma la strada è ancora lunga.

 

Giada Farrace

 

 

 

  • Regia: Danny Philippou, Michael Philippou
  • Paese: Australia, 2022
  • Genere: Horror
  • Durata: 95'
  • Cast: Sophie Wilde, Miranda Otto, Joe Bird, Otis Dhanji, Marcus Johnson.
  • Valutazione: 3

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