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Out of Sight

Giovedì 15 Settembre 2016 08:44 Pubblicato in Full Screen

Nel 2005, il giornalista Matt O'Brien ha scoperto una grande comunità di senza tetto stabilitisi nella rete fognaria sotto Las Vegas. Nonostante i rischi incredibili,hanno vissuto nei tunnel uomini, donne, bambini e animali completamente ignorati dalla gente della superficie. Dieci anni più tardi cosa è cambiato dall'indagine di O'Brien? 

con sottotitoli anche al link https://vimeo.com/123990521

Alla Ricerca di Dory

Giovedì 15 Settembre 2016 08:24 Pubblicato in Recensioni
‘Ciao sono Dory e soffro di memoria a breve termine' così si presenta  con una tenerezza disarmate e due occhi giganti la piccola pesce chirurgo, famosa per aver aiutato un padre disperato a ritrovare suo figlio in 'Finding Nemo' della Disney-Pixar. Oggi dopo 13 anni il regista e sceneggiatore Andrew Stanton (affiancato questa volta da Angus MacLane) prosegue l'avventura con lo spin off dedicato solo a lei 'Alla ricerca di Dory.' Smemorata e colta da una fulminante reminiscenza, per volere del destino, la pesciolina ricorda di essere finita in mezzo all'oceano dopo aver perso di vista i suoi genitori. Comincia un lungo viaggio per ritrovarli, aiutata dai suoi vecchi amici e da nuove bizzarre conoscenze, tra cui spicca Hank, un polpo imitatore scorbutico e affarista con tre cuori sotto la scorsa viscida, l’amica d’infanzia Squalo Destiny e diversi incontri inaspettati. La favola ecologista continua, affronta con delicatezza il tema dell'inquinamento, i fondali dell’oceano sono ricoperti di spazzatura, i paguri fanno la casa dentro alle scatole di latta, Dory stessa resta impigliata nella confezione di plastica delle lattine, ed è là che viene pescata da un centro di recupero per la fauna oceanografica, dove i pesci vengono curati e liberati. Voce italiana della rappresentate del parco è Licia Colò (quella di Sigourney Weaver nella versione originale), che abbiamo incontrato alla conferenza stampa tenutasi a Roma durante la promozione del film. Licia ci ha raccontato che la componente di realismo che c’è nello studio delle specie  di ogni pesce è impressionante a questo proposito ha anche scherzato con noi l’attrice comica Carla Signoris, voce storica della protagonista, raccontando questo aneddoto “per farti capire quanto sono precisi ‘questi’: durante la sessione di doppiaggio di Nemo, mi hanno fatta tornare in studio, telefonando di 14 di Agosto, perché in una battuta Dory diceva “Guarda testuggini!” quando invece si trattava di “tartarughe marine”. Non potevamo tollerare un errore così imperdonabile.” Si toccano due temi portanti delicati: la disabilità, quella che fu fisica nel caso di Nemo, che poteva contare solo su una pinna, è mentale nel caso di Dory, la smemoratezza appunto che ancora una volta da apparente debolezza diventa punto di forza e l’importanza della famiglia, vera o acquisita che sia. Sorprende come gli animatori siano riusciti a trovare un espediente diverso per far attraversare a dei pesci qualsiasi territorio ostile trovando il modo di non restare mai fuori dall'acqua. Riesce nell’importante compito di restare allo stesso livello del film precedente e vanta una qualità d’immagine e grafica 3D eccellente. Ci tuffa in un mondo colorato, tenero ed emozionate, incanta una nuova generazione. Il consiglio per chi ha amato il primo film è quello di restare fino alla fine dei titoli di coda. 
 
Francesca Tulli

The Beatles-Eight Days a Week

Mercoledì 14 Settembre 2016 14:07 Pubblicato in Recensioni
John, Paul, Ringo and George are the Beatles! Il regista statunitense Ron Howard in questo documentario ripercorre i primi cinque anni (1962-1966) della loro carriera, da quando erano famosi per essere i “bravi ragazzi” a quando in America i loro ex sostenitori arrivarono ad accusarli di blasfemia facendo un falò con i loro vinili, fino alla grande ripresa, con l’ottavo album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ogni aspetto viene affrontato con delicatezza, senza indugiare sulle speculazioni, senza toccare nello specifico, la loro vita privata. A differenza delle monotone esposizioni di fatti, date e cronaca nera che riporta talvolta la televisione, i quattro ragazzi di Liverpool vengono celebrati con entusiasmo da tutti coloro che hanno vissuto la loro epoca d'oro. Inizialmente poveri, indossate le giacche nere e tagliati i capelli con il caschetto a cipolla, presi “per mano” da Brian Epstein il loro manager, in soli quattro anni raggiunsero un successo senza precedenti da Londra agli Stati Uniti fino in Giappone riempiendo gli stadi di fans. Folle inferocite di più di ottomila persone li seguivano, facendo di loro un “pericolo” pubblico, era la rivoluzione giovanile, il “primo vero” fenomeno dei “fans” le ragazze si appuntavano le spille con il nome del favorito, si strappavano le chiome, urlavano, rischiavano la vita sulle balaustre degli stadi solo per vederli dal vivo. “Quando un calciatore fa Goal la gente grida più forte, noi dobbiamo solo scuotere la testa: quando lo facciamo loro impazziscono. E’ come fare Goal” affermano durante un’intervista spiritosi e ‘sfrontati’ senza essere cattivi le loro personalità vengono fuori mantenendo una continuità tra i filmati d’epoca e le interviste fatte oggi. La musica è la vera protagonista del film, dalla naturale creazione dei molteplici testi scritti in macchina in mezz’ora da John e Paul, alle registrazioni in studio “8 giorni alla settimana” del titolo, fino all’utilizzo di questo linguaggio universale per abbattere le differenza sociali contro le leggi razziali. Whoopi Goldberg da fan racconta di come quei quattro 'bianchi' le abbiano 'indirettamente' trasmesso la sicurezza per affermarsi come donna e artista. I Beatles vengono ritratti come 'Il gruppo ideale di amici' 'i confidenti' immaginari di una generazione. Il documentario (in Italia distribuito da Lucky Red al cinema dal 15 al 21 di settembre) ha ricevuto un'ottima accoglienza dai fan e dai neofiti perché è accessibile a tutti. Alla fine del documentario, vengono mostrati in esclusiva 30 minuti di footage, remasterizzazione a 4K dell’iconico concerto del 15 Agosto del 1965 presso lo Shea Stadium di New York, che contava più di sedicimila partecipanti. Ignari del successo che avrebbero ricevuto rispondevano a chi gli chiedeva se la loro musica avrebbe potuto portare ad un cambiamento culturale? “Quello che facciamo non è cultura! È solo divertimento”.
 
Francesca Tulli

Neruda

Sabato 21 Maggio 2016 15:15 Pubblicato in Recensioni
Presentato in anteprima mondiale alla Quinzaine des réalisateurs e ripresentato in occasione della 73esima Mostra del Cinema di Venezia, l’ultimo lavoro di Pablo Larrain è un film atipico, forse difficile da inquadrare, ma artisticamente geniale; lavora con diverse forme d’arte realizzando un’opera armoniosa, che rapisce ed emoziona.
 
Cile, fine degli anni quaranta. Il poeta, ma anche uomo di politica Pablo Neruda (Luis Gnecco), viene ricercato dalla polizia dopo che il governo di Videla (Alfredo Castro) ha cambiato radicalmente i propri ideali. Lo stato, che fino ad allora era di tendenza comunista, è passato repentinamente a destra. Neruda, convinto sostenitore del popolo, non ha barattato i suoi ideali. E’ diventato così l’uomo a cui dare la caccia, nemico del partito in carica. Il poliziotto Peluchonneau (Gael Garcia Bernal) è l’incaricato di catturarlo. 
 
Come si è già potuto capire dalla sinossi, non siamo di fronte ad un classico biopic. Potrebbe altresì sembrare un film politico, ma anche questa strada non è da percorrere. Forse stretta analisi della poesia nerudiana? Proprio no. 
È un film che racconta semplicemente la storia del Cile e lo fa attraverso i personaggi sopra menzionati. Le sue città e le persone che le pongono: l’aristocrazia del potere, gli intellettuali, le povere famiglie, i bordelli, fino ad arrivare ai piccoli agglomerati delle praterie e alla propria natura e vegetazione, che ci fa scoprire la sua inaspettata anima western, donata alla pellicola in un surreale finale.
 
Cineasta innovativo, osannato dalla critica per i suoi ottimi lavori, che spaziano da Tony Manero a No, I giorni dell’arcobaleno, Pablo Larrain dirige il suo Neruda con mano morbida e mai pesante. Visionarietà spiccata, che viene fuori celando la figura del Premio Nobel per la Letteratura in inquadrature ingannevoli. Quando ci accorgiamo della sua presenza sembra di guardare un quadro prendere vita. Omaggio all’arte, che da un significato all’esistenza.
Attraverso la glorificazione della narrazione, novella nella novella, scopriamo quanto il narratore della storia, il commissario Peluchonneau debba la sua esistenza proprio all’artista Neruda. Identificazione dell’inseguitore, al quale viene data una vita. Nasce così un rapporto tra i due che va oltre il realismo, diventa qualcosa di surreale, che si ripete all’infinito. Come l’arte stessa: senza tempo ne luogo. Celluloide, che diventa la tela dell’artista sulla quale imprimere il proprio volere e donare all’opera stessa: un nome, una vita propria e una libertà eterna. 
 
Enorme lavoro fatto in fase di stesura della sceneggiatura da parte di Guillermo Calderón, scrittore che aveva già collaborato con Larrain per il Club. Le molteplici e complicate sfaccettature dello script non appesantiscono, anzi, lo spettatore si lascia condurre dall’andamento dello spettacolo verso un comodo e caldo approdo riparatore. Racconto sanificatore che ricorda le ballad del cantastorie Bruce Springsteen e della sua Ghost of Tom Joad. Armonica che ristora i cuori della povera gente oppressa dalla polizia. 
 
Un film da non perdere, fotografato su toni scuri nella prima parte, dove vige un clima di oppressione e persecuzione. Svolgimento del testo in luoghi chiusi ed artificiali. La strada verso le libertà risplende poi di luce naturale, in spazi luminosi dai sapori country contornati dalla purezza della neve. Insomma un lavoro magistrale questo Neruda, speriamo di vederlo presto distribuito in Italia.
 
David Siena