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Un momento di Follia. Intervista a Vincent Cassel

Sabato 19 Marzo 2016 20:02 Pubblicato in Interviste

Un momento di follia di Jean-François Richet (Nemico Pubblico), remake dell’omonimo film del 1977 di Claude Berri, tratta con onestà e ironia un tema attuale e dibattuto: la relazione tra l'intraprendente diciassettenne Louna (Lola Le Lann) e il cinquantenne divorziato e amico di famiglia Laurent (Vincent Cassel). Senza peli sulla lingua, l’attore protagonista, durante la promozione del film (nelle sale italiane dal 24 marzo), non sfuggendo soprattutto alle domande personali, ci ha raccontato il suo punto di vista riguardo alla questione. 

 
 
Con un italiano fluente commisto al francese e un’espressione di sfida, carico di una disarmante sincerità posiziona il vero punto nodale del film, il vero tema “scabroso” della vicenda, nel tradimento della fiducia da parte di Laurent nei confronti del migliore amico e padre della giovane, interpretato da François Cluzet. Infatti per Cassel la rottura di una bella amicizia, appare come l'elemento compromettente della storia, facendo diventare marginale la questione della grande differenza d'età nei rapporti di coppia. “Le ragazze di 17 e 18 anni ci provano con me” ha continuato ridendo “è perfettamente normale”. In questa versione Louna ha 17 anni e mezzo ed è interpretata da una 18enne e questo particolare, che sembra lieve, per Cassel e il regista è invece stata una scelta ben ragionata: era importante trovare un'età che mettesse pace tra i moralisti mantenendo il senso della storia originale, se Louna fosse stata più giovane avrebbe creato discussioni ma “non avrebbe scandalizzato il produttore” ha puntualizzato ancora l'attore. 
“Cosa faresti tu al posto del protagonista?” a questa domanda si sbottona  “ le donne sono in generale più mature degli uomini, controllano la creazione. Noi siamo sterili. Siamo ancora come bambini a cinquant’anni.” e continua assicurando “La figlia di un mio amico nemmeno la guardo. O almeno, ci provo.”  
“Cosa faresti se tua figlia uscisse con un cinquantenne?” “Non lo so, non vorrei reagire come il padre (vendicativo) del film”.
 L’attore ha continuato spiegando perché crede che non ci sia nulla di male se un uomo di cinquantanni va con una donna più giovane sottolineando “il contrario invece sarebbe più inappropriato per una questione fisiologica: potrebbe rappresentare un problema nel caso di una gravidanza”. Il regista ha evidenziato che a tirare le fila della relazione c’è proprio la cocciutaggine della ragazza, è lei che tiene “placcato” Laurent perché “a diciassette anni una donna sa perfettamente cosa vuole ed è inarrestabile” ha continuato Cassel sentendo già come la discussione poteva facilmente essere fraintesa. Aveva premesso che “in questo mondo di moralisti ad oggi non si può più esprimere un pensiero su nulla, non si può più parlare di nulla né di diversità né tantomeno di sesso (o come lo ha pronunciato lui “sexsò!”) “Perché ogni frase può essere estrapolata da un contesto e strumentalizzata all’interno di un articolo vacuo e inutile”. 
Non è mancato un riferimento ad un altro remake del film ad opera degli americani “Non l’ho visto” ha dichiarato il regista, “non ci interessava, lo abbiamo rifatto ancora perché volevamo! chissenefrega” ha continuato Cassel e poi “era brutto” come è stato fatto notare all’attore che ha confessato “ecco sì, non volevo dirlo”. Non sono mancate le lodi alla partner “Penso che vedere un’attrice emergere sia molto più importante che vedere un personaggio famoso e professionista che lavora da anni e cazzate varie! Lei ha insegnato qualcosa a me. In “Partisan” del 2015 ho lavorato solo con donne e bambini persone comuni che non sono davvero del mestiere e mi sono reso conto che sapevano fare cose che un professionista non sa fare.” Vincent Cassel con ironia e leggerezza ha dimostrato la sua onestà e noi, in questo, lo abbiamo apprezzato. 
 
Francesca Tulli
 

Ave Cesare!

Mercoledì 09 Marzo 2016 11:32 Pubblicato in Recensioni

Ave Cesare! Dei fratelli Ethan e Joel Coen è un fantastico dipinto della realtà dietro alla cinepresa. Nella florida America degli anni 50 il produttore e regista Josh Broline (Eddie Mannix) di una grandissima casa di produzione (che potrebbe essere la Disney come la Warner Bros) cerca di fare il film perfetto. Si convince di poter realizzare un kolossal alla Ben-Hur su Gesù Cristo senza offendere nessuna religione presente negli Stati Uniti con l’attore più in voga del momento nei panni di un antico romano redento Baird Whitlok (George Clooney). Tutto procede a meraviglia fino a quando Whitlok viene rapito. Per gli altri registi ignari, alle prese con i propri film lo show deve continuare: Laurence Laurentz (Ralph Fiennes) di cui è difficile anche pronunciare il nome, costringe nei panni di un damerino una stella nascente del Western Hoby Doyle (Alden Ehrenreich) ottenendo pessimi risultati. La star casta e pura dei Musical DeeAnna Moran (Scarlet Johansson) è in realtà una donna dissoluta a cui bisogna trovare un marito per nascondere una gravidanza indesiderata. Burt Gunney (Channing Tatum) è potenzialmente perfetto sa ballare cantare (e recitare!) ma lo considerano solo per ruoli frivoli. Tutto questo chiacchierare viene mediato dalla stampa, qui rappresentata da due sorelle gemelle, Thora e Thessaly Thacker entrambe interpretate da una deliziosa Tilda Swinton. Le musiche di Carter Burwell distendono l’intreccio, la fotografia è brillantemente condita dal make up sfarzoso tipico degli anni rappresentati. I registi attualizzano gli anni 50 e ripropongono le stesse dinamiche che chiunque nel mondo del cinema si ritrova davanti da secoli. Gli sceneggiatori sono fondamentali ma sono messi sempre in secondo piano, il pubblico vede quello che vuole vedere, i registi hanno molteplici interessi ma sono consapevoli delle responsabilità che hanno. La finzione è vera, fuori come dentro al film. Indigesto per tanti versi, cervellotico e confusionario per altri è stato ignorato agli Oscar e frainteso da una stragrande maggioranza di pubblico. E’ cinema dentro al cinema, un circo di giostranti incapaci che crea sogni e elude speranze. Un omaggio vestito da parodia, dove l’amore per questo mondo è sentito quanto criticato.

Francesca Tulli

Suffragette

Lunedì 07 Marzo 2016 10:52 Pubblicato in Recensioni
La vittoria delle Suffragette, portò ad una delle più grandi rivoluzioni nella storia del genere umano. Un evento che ha condizionato più di duecento anni di storia che finora era stato ignorato (o quasi) dal mondo del cinema. La regista inglese Sarah Gavron, con il chiaro intento di raccontare questa storia alle nuove generazioni, ha messo su un cast di attrici ben note a dare voce a queste donne coraggiose. Maud Watts (Carey Mulligan) è una giovanissima madre e moglie che contribuisce al mantenimento della famiglia con il suo misero stipendio da operaia in una fabbrica di tessuti. Ci sono decine di migliaia di donne nella stessa condizione, sfruttate dal padrone senza scrupoli che non perde l’occasione di abusarne a suo piacimento. In questa Londra fumosa di metà del novecento, l’idea di poter dare il diritto di voto alle donne serpeggia per le strade. Signore di ogni estrazione sociale cominciano una guerra sottopelle per cambiare il destino delle proprie figlie, rompono le vetrine, appiccano incendi, entrano ed escono orgogliosamente dalla prigione. Dopo le umiliazioni ricevute dallo stato in cambio delle dimostrazioni pacifiche, passano all’azione con l’unica forma di dibattito che gli uomini comprendono: la guerra. Tra le militanti in prima linea c’è Violet (Anne-Marie Duff) una collega e amica di Maud che la coinvolgerà molto più del previsto nel suo giro di rivoluzionarie. Tra le più agguerrite c’è Edith Ellyn (Helena Bonham Carter) che usa la sua farmacia come copertura per una base operativa. Splendido è il ritratto della Signora Pankhurst, icona della rivoluzione realmente esistita, qui interpretata in una sola memorabile scena da Meryl Streep. Le figure maschili (come ci è stato spiegato dalla regista durante la conferenza stampa per la promozione del film a Roma) sono volutamente di secondo piano; per una volta le protagoniste sono solo donne perché questo accade raramente al cinema, ed è stato difficile trovare attori maschi disposti a fare queste parti marginali quando deprecabili, il marito di Maud è un inedito Ben Whishaw. Questo film girato nei luoghi dove i fatti sono realmente accaduti (Palazzo del Parlamento compreso su permesso esclusivo) è stato presentato come “non il solito film in costume” ma di fatto la ricostruzione precisa del periodo, il dispendio di comparse e costumi, la regia con il filtro polveroso e la recitazione teatrale (non che sia un male) ne fanno un film storico “da manuale scolastico” a tutti gli effetti. A svecchiare l’argomento c’è l’attualità delle tristi disparità che ancora ci sono tra i generi. 
 
Francesca Tulli

L'avenir. Berlinale66

Domenica 21 Febbraio 2016 14:23 Pubblicato in Recensioni
L’Avenir racconta la storia di Nathalie (Isabelle Huppert, La Pianista – 2001), donna affermata che insegna filosofia in una scuola di Parigi. La sua passione la porta a vivere una vita piena e movimentata. E’ sempre indaffarata tra i suoi libri, che sapientemente costruisce assaporando il piacere di trasmettere la voglia di riflettere, e la sua bella famiglia, composta dal marito Heinz (André Marcon, Marguerite – 2015) e da due splendidi figli. Ha spazio anche per consigliare un suo ex-alunno e per accudire l’eccentrica e depressa madre (Edith Scob, Holy Motors – 2012), che in ogni momento la chiama con delle richieste bizzarre. Il trascorrere del tempo è impostato sulla modalità mezz’età=raggiungimento della serenità ed il matrimonio sembra essere l’unica cosa non in movimento nella sua vita. Come si può interrompere la quotidianità? Con la scoperta che il marito la tradisce e che è pronto per lasciarla. Ora, dopo questo crack, Nathalie deve rimettere mano alla sua vita, ritrovando un’inaspettata libertà, che non sempre è sinonimo di felicità.
 
Things to Come, titolo in inglese stampato sulla locandina, racconta proprio i mutamenti della vita, quello che cambia ed il modo in cui noi esseri umani riusciamo ad adeguarci. 
Diretto dalla promettente regista francese Mia Hansen-Løve, l’Avenir si porta a casa dalla Berlinale 2016  l’Orso d’Argento per la miglior regia. La giovane autrice d’oltralpe cura anche la sceneggiatura ed aiutata dalla ferrea maturità della sua protagonista Isabelle Huppert, confeziona un film intimista sulle assenze e sull’auto consenso. 
Movimenti di macchina inquieti e vivaci, come la sua protagonista, sia alternano a riprese più morbide e lineari. Tecniche che rendono il senso di apatia e lo spirito di rivalsa leggibile allo spettatore. Si cammina sempre su un selciato che sta in mezzo tra questi due stati d’animo. Lo si percorre con rigore narrativo, equilibrando il tutto con una deliziosa ironia.
Viviamo tante vite nella vita stessa, la regista riesce a farle salire in superficie e a farle affondare senza mai cadere nella retorica.
 
Insegnamenti, rivoluzioni ed elaborazioni del lutto fisico, ma anche sentimentale attraversano l’immaterialità del tempo e sanciscono la crescita della protagonista. 
Che rinasce quando diventa nonna, sprofonda davanti ai libri condivisi con il compagno di una vita ed assapora un’inaspettata pienezza quando redarguisce il suo ex-allievo Fabien (Roman Kolinka). Il giovane vede nell’anarchia la via della rivoluzione. Nathalie afferma che la vera rivoluzione è allevare dei figli e sapergli dare le coordinate per la giusta via. 
Lascia andare anche il gatto della madre morta da poco, eliminando così affanni e sensi di colpa, lanciando metaforicamente lo spirito della madre verso una libertà, che non ha mai avuto.
 
L’Avenir è senza dubbio un esempio di come il cinema francese non rimane mai al palo. Legge perfettamente i tempi e grazie alla sua grande versatilità ed apertura al mondo offre un prodotto di alto livello. La Francia dopo i due attentati terroristici subiti, vive un clima particolare. E’ ferita, ma capace nella tragedia di tirar fuori la sua anima, senza mai arrendersi. Un po’ come la nostra protagonista, una gigantesca Isabelle Huppert, colonna vertebrale della pellicola.
 
David Siena