Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » Full Screen » Info
A+ R A-
Info

Info

E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Fuoco Amico - La storia di Davide Cervia

Mercoledì 18 Giugno 2014 12:06 Pubblicato in Recensioni
12 settembre 1990. Davide Cervia, tecnico specializzato della Enertecnel, dopo aver smontato dal lavoro non fa ritorno nella sua casa a Velletri. I famigliari allarmati ne denunciano la scomparsa presso le autorità, che subito si orientano verso l'allontanamento volontario, mentre alcuni testimoni avvaloreranno la tesi del rapimento. Inizia così uno dei casi di sparizione più ammantati di mistero avvenuti negli ultimi cinque lustri nel nostro paese.
Ma chi è (veramente) Davide Cervia?
Con un passato nella Marina Militare, dove aveva svolto corsi di alta specializzazione, ottenendo diplomi rilasciati addirittura dalla NATO, lo scomparso è uno dei pochi in Italia e al mondo a conoscere l'esatto funzionamento di armi elettroniche che la nostra nazione vende ad altri paesi, soprattutto mediorientali. Davide Cervia è un esperto di guerra elettronica e perciò ha "dovuto" accompagnare, suo malgrado, le strumentazioni che solo lui, come pochi altri, era in grado di manovrare. Vittima, appunto, di “fuoco amico”.
Questa è la tesi - fin qui la più verosimile! - dello sconcertante documentario di Francesco Del Grosso, già autore di Negli Occhi e 11 metri, col quale chiude una sua ideale trilogia del "padre mancato". Ed è la stessa dei famigliari, del Movimento per la verità sul caso e della commissione parlamentare d'inchiesta che ha cercato di far luce sulla realtà dei fatti. Il film è anche il racconto dei 24 anni dell'odissea di una famiglia ingiustamente privata del proprio fulcro e di una moglie e due figli che non hanno smesso mai e mai smetteranno di lottare. Il racconto di una famiglia alla quale sono state negate anche e soprattutto verità e giustizia.
Attraverso le parole imprescindibili della moglie Marisa, Fuoco amico ricostruisce il “solito” microcosmo all'italiana, all'interno di un più ampio macrocosmo di quarant'anni di depistaggi, insabbiamenti, false piste, inganni, che il nostro paese ben conosce. Se Marco Tullio Giordana nell'opera di finzione Romanzo di una strage tracciava un sottile filo rosso che da Piazza Fontana attraversava almeno altri due lustri di storia patria, Del Grosso col suo documentario ci illustra come il “caso Cervia”, nel suo “piccolo”, sia l'ennesimo esempio di un modus operandi che ha caratterizzato le ombre più o meno inquietanti dei governi dell'era repubblicana. Più che britannico understatement delle autorità al principio, falsi testimoni di dubbia attendibilità chiamati a confondere le acque mentre altri più credibili venivano gentilmente adagiati nel dimenticatoio, cialtroni che offrono una soluzione che si rivela presto una tragica presa in giro, intorno intanto il tempo passa e i più ingoiano e dimenticano. Modello applicabile a qualunque evento poco chiaro accaduto nel nostro paese, grosso modo – vedi sopra - da Piazza Fontana in poi.
Del Grosso in un tale ginepraio è stato molto abile anche stavolta a raggiungere, grazie alla propria sensibilità, la massima collaborazione da parte della famiglia – fu contattato personalmente dalla stessa figlia di Davide, Erika, per raccontare la vicenda – e di selezionare attentamente, grazie anche alla montatrice Francesca Sofia Allegra, elementi e tracce validi all'interno della mole di materiale raccolto, spesso impresentabile per le incredibili ed assurde pieghe prese negli anni dagli eventi.
L'opera, crogiolo di verità ed emozioni, getta così insperata luce su un'altra pagina di storia italica che, peraltro ancora priva della parola “fine”, avremmo preferito non fosse stata mai scritta.
Il film, presentato nel 2014 in concorso al Bif&St e a Contest – Il documentario in sala e fuori concorso al Biografilm Festival, è attualmente in attesa di una distribuzione.
 
 
Paolo Dallimonti
 

Rompicapo a New York

Martedì 17 Giugno 2014 23:37 Pubblicato in Recensioni
L'ormai quarantenne Xavier Rousseau (Romain Duris) si è trasferito da Parigi a New York al seguito dell'ex moglie Wendy (Kelly Reilly) più che altro per seguire i due figli Tom e Mia. La sua vita, se possibile, è ulteriormente complicata dall'amica lesbica Isabelle (Cécile De France), che gli ha chiesto insieme alla compagna Ju (Sandrine Holt) di aiutarle ad avere un figlio. Nel frattempo per ottenere la carta verde Xavier decide di sposarsi in un matrimonio di comodo con la cinese Nancy (Li Jun Li), prodigandosi in mille modi presso l'ufficio immigrazione per convincerli che le sue nozze siano vere. Come se non bastasse, dalla Francia giunge anche Martine (Audrey Tautou), la sua ex fidanzata. Riuscirà il giovane scrittore a portare a termine il suo romanzo ed a far chiarezza nella sua come nelle altrui vite?...
A dodici anni dalla Barcellona de "L'appartamento spagnolo", passando per la San Pietroburgo di "Bambole russe", Xavier Rousseau e il suo alter-ego Romain Duris tornano sugli schermi alle dipendenze del regista Cédric Klapisch, insieme ad altre due “bambole” della compagnia, Cecile De France ed Audrey Tautou. Tralasciando il secondo capitolo, la pellicola del cineasta francese vuole essere una espansione e rielaborazione del film di quasi due lustri prima: come lì Xavier era straniero in terra di Spagna, con i cortocircuiti di un'esperienza quale l'Erasmus, stavolta lo è in quel delle lontane americhe, nientepopodimeno che a New York, con uno stuolo di complicazioni: un'ex-moglie, due figli legittimi insieme ad uno un po' meno ed altre tre donne, delle quali una sua novella sposa per necessità. La ricerca del proprio destino, mentre tenta di buttare giù il nuovo romanzo, viene raccontata da Klapisch col suo stile eclettico e variopinto, messo insieme come i pezzi di un rompicapo, cinese. Se la sua donna ideale sarebbe un mix di Wendy (l'ex-moglie), Isabelle (l'amica lesbica) e Martine (l'ex-fidanzata), come una di loro ha modo di affermare, così il film è un ritratto composito, tra numerosi flashback, e pieno di frizzanti suggestioni. E funzionerebbe pure, se fosse solo il primo film dell'autore francese o se il pubblico lo spettatore con questo. Klapisch invece tende a ripetere il suo modo di fare cinema, senza la benché minima innovazione, volendo così contrabbandare l'immaturità del protagonista, ma rischiando di tradire artisticamente la sua. Quello che vorrebbe letteralmente essere un gioco - il titolo originale, Casse-tête Chinois, si riferisce appunto ad un rompicapo cinese - sotto il peso di quasi due ore di durata finisce però per non reggere, peccando in vacuità e sfiorando l'esercizio di stile, carino ma inutile.
A Klapisch, che tra i primi due episodi nel 2004 ci aveva sorpreso col noir "Autoreverse", l'augurio di ritrovarlo con un prossimo film con idee più brillanti, meno maniera e maggiore coraggio.
 
Paolo Dallimonti
 

#FATTIFORTEFANFULLA

Martedì 17 Giugno 2014 19:58 Pubblicato in News
 
FuoriTraccia si unisce alla campagna di sensibilizzazione nei confronti della chiusura del Forte Fanfulla, storica realtà romana che ci ha ospitato e sostenuto. 
 
Diffondiamo il loro accorato comunicato sperando che voi, che ci seguite, possiate fare altrettanto.
 
Campagna di comunicazione in sostegno del circolo Arci Forte Fanfulla
dal 23 al 30 giugno 2014
 
Il circolo Arci Forte Fanfulla di Roma comunica che sospenderà la propria attività.
Questa decisione deriva da una crescente difficoltà economica causata dall'impossibilità a sostenere gli onerosi costi d'affitto. La storica associazione culturale, nata e radicatasi nel quartiere del Pigneto, è attiva dal 2007 e conta un corpo sociale di quasi 20.000 tesserati. Nel corso di questi anni abbiamo lavorato sul territorio attraverso lo sviluppo di attività aggregative realizzando più di 1000 iniziative annuali (concerti, presentazioni, mostre, proiezioni, spettacoli teatrali, corsi di lingua e servizi di assistenza sociale e fiscale). Abbiamo cercato di mettere in atto una politica fruibile e popolare che, con il tempo, ha contribuito a una riqualificazione del quartiere dal punto di vista sociale e culturale. Questo risultato è stato raggiunto grazie alla partecipazione e all'impegno di tutti i soci che hanno messo a disposizione le loro competenze professionali e artistiche e a tutti gli amici e i collettivi della scena indipendente, italiana e internazionale, che hanno contribuito a rendere quella del Fanfulla un'esperienza straordinaria. Rivendichiamo con orgoglio di aver portato avanti in questi anni un progetto culturale fondato sull'idea di impresa sociale, da noi considerato uno degli strumenti utili per l'auspicato rilancio delle politiche culturali nel nostro paese. Il Fanfulla è una casa comune della sinistra, uno spazio che con fierezza ha ospitato e supportato diversi rappresentanti delle realtà antagoniste romane ma anche del mondo politico e istituzionale, pur nella totale assenza di un riconoscimento e di un sostegno concreto da parte delle istituzioni. La nostra non è una resa ma una resistenza. Perciò invitiamo tutti a sostenere la campagna ‪#‎FATTIFORTEFANFULLA‬, che si svolgerà dal 23 al 30 giugno, una settimana ricca di iniziative all'insegna della musica, del teatro e della creatività.
Chiediamo a tutti di aiutarci a diffondere il più possibile questa comunicazione per organizzare insieme e condividere la nostra esperienza.
Il programma dettagliato delle iniziative verrà diffuso nei prossimi giorni.
Ringraziamo tutti dell'attenzione.
 
Forte Fanfulla
Via Fanfulla da Lodi 5
00176
Roma

Se il mondo intorno crepa

Martedì 17 Giugno 2014 14:29 Pubblicato in Recensioni
In una città fantasma del vecchio west, “sospesa tra la polvere del deserto e i fantasmi del passato” si svolgono le vicende di due efferati fuorilegge, Black Burt (Stefano Jacurti), in arte e al lavoro “il Poeta”, e Butcher Joe (Simone Pieroni) alias “il Macellaio”. I banditi, in fuga verso il Messico, si imbattono in una serie di figure macchiettistiche, involontariamente grottesche e in situazioni prive di continuità drammaturgica. In un ingarbugliato (e un po’ noiosetto) sviluppo narrativo, vediamo come le atrocità compiute in passato dal Poeta/Black Burt lo inducano a ravvedersi. Indignato “dall’assenza di istituzioni” in quelle terre dimenticate pure da Dio, Black Burt fa un esame di coscienza e vende alle autorità locali il suo compare Butcher Joe in nome della legge e di un’improvvisa riscoperta civile, in un finale che puzza un po’ di moralismo spicciolo. 
I registi Stefano Jacurti ed Emiliano Ferrera non nascondono la loro passione morbosa per il cinema western. Nel 2007 realizzano Inferno bianco, western-horror innevato, girato sul Gran Sasso come immaginario Oregon; il film vince il primo premio ACEC al Tentacoli Film Festival, ricevendo, a quanto pare, una lettera di riconoscimento da Pupi Avanti. Durante la conferenza stampa di Se il mondo intorno crepa – If the world dies, Jacurti & Ferrera citano, tra i registi che li hanno maggiormente influenzati, John Ford, Sergio Leone, Sam Peckinpah, ma, guardando anche distrattamente la loro ultima fatica, i due autori/attori dimostrano di aver assorbito quell’estetica/etica western senza veramente capirci un tubo.
Infatti, l’impressione che si ha guardando il film è quella di un gruppo di bamboccioni un po’ cresciuti che giocano a fare i banditi del far west con le pistole di plastica. 
Il film emana dilettantismo da tutti i pori: recitazione scialba, musiche di sottofondo di Klaus Veri che appaiono dal nulla e spariscono nel nulla, un montaggio senza soluzione di continuità che compromette irreparabilmente lo scorrere della narrazione. I due autori realizzano infatti un omaggio approssimativo all’estetica western, curandosi poco dell’etica; i costumi, le unghie sporche e i denti marci dei banditi, il rumore artificioso degli spari, le sconfinate vallate abruzzesi in cui è girato il film (più a east che a west)creano una certa atmosfera, che però non riesce a fare i conti con la vera storia del western (spaghetti, dirty o crepuscolare che sia) e ne rimane solo una riproduzione meramente scimmiottata. Il prodotto finale somiglia piuttosto a uno di quegli sketch della Premiata Ditta, che non fanno ridere nessuno, ambientati nelle diverse epoche storiche (ce ne sarà stato sicuramente uno ambientato nel vecchio west!). 
Il tentativo è quello di una metafora universale del senso di vuoto morale generalizzato che caratterizza la società contemporanea, corrotta fino al midollo, ma il parallelismo risulta debole e a tratti qualunquista. 
Il film purtroppo è carente sia della lucida credibilità di un “prodotto serio e vendibile”, sia del consapevole e goliardico disimpegno di un b-movie. 
Quello che ne esce fuori è un lavoro trascurato e trascurabile, sia nella forma (riciclo approssimativo degli stereotipi di genere) che si decide di dare alla materia in questione, sia nella stessa materia a cui si decide di dare una forma.  
 
Angelo Santini