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Dal 5 maggio Labor Story: il lavoro raccontato dal cinema.

Venerdì 02 Maggio 2014 17:02 Pubblicato in News
 
 
 
Roma - Dal 5 al 9 maggio 2014, alla Sapienza e al cinema Trevi, avrà luogo la prima edizione di “Labor Story, il lavoro e la sua rappresentazione nel cinema”, festival cinematografico promosso dalla Facoltà di Lettere e Filosofia, Centro Teatro Ateneo, Facoltà di Economia in collaborazione con il CSC-Cineteca Nazionale.
 
La rassegna è l’occasione per offrire un dialogo a più strumenti sulla storia della realtà lavorativa del nostro Paese e sull’attualità dei temi emergenti: film e documentari, teatro,  tavole rotonde con economisti, storici del cinema, giornalisti, incontri e testimonianze di registi, attori, scrittori.
 
Si inizia alle ore 18 di Lunedì 5 maggio presso l’Aula Levi  (ex vetrerie Sciarra) con i saluti  del preside della Facoltà di  Lettere e Filosofia, Roberto Nicolai e con gli interventi introduttivi di Valentina Valentini (Centro Teatro Ateneo), Mauro Gatti (Facoltà di Economia), Emiliano Morreale (Cineteca Nazionale), Sergio Bruno (Cineteca Nazionale). A seguire la proiezione di “L’Asse del pedale”, un documentario commissionato negli anni cinquanta dalla Renault sull’economia dei movimenti, per velocizzare il lavoro degli operai. Il documentario appartiene al Fondo della famiglia Iannotta, depositato nel 2013 presso la Cineteca Nazionale, in cui si stanno scoprendo numerose rarità degli anni cinquanta, tra le quali anche i documentari “Acciaio” e “Nasce una scarpa”, in programma al Trevi.
Il programma prosegue con il monologo teatrale “Diario di fabbrica”, per la regia di Daniele Bernardi, interpretato da Ermelinda Bonifacio, liberamente tratto da “La condizione operaia” di Simone Weil, ispirato dalla sua esperienza come operaia, negli anni trenta, alla Renault;  conclude la giornata l’incontro con Alessandro Portelli, presidente del Circolo Gianni Bosio.
 
Da Martedì 6 maggio a giovedì 8 avranno luogo alcune proiezioni selezionate dall’archivio storico della Cineteca Nazionale incentrate sul tema del lavoro  tra  cui “Le miserie del signor Travet” di Mario Soldati (martedì 6 alle ore 17.00); “Anni facili” di Luigi Zampa (martedì 6 alle ore 19.00); “In questo mondo libero…” di Ken Loach (mercoledì ore 21.00); “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri (mercoledì 7  ore 17.00; “Il posto dell’anima” di Riccardo Milani (mercoledì 7 ore 20.30); “I magliari” di Francesco Rosi (Giovedì 8 maggio ore 17.00; “La ragazza in vetrina” di Luciano Emmer (giovedì 8 ore 19.00); “Il grande capo” di Lars Von Trier (Giovedì 8 ore 21.30).
 
L’ ultima  giornata, venerdì 9 maggio, dopo i saluti del  Preside della Facoltà di Economia, Giuseppe Ciccarone, inizia con le proiezioni dei  film “Cosa desidera? (i desideri della futura classe dirigente)” di Mauro Pescio, “Emergency Exit – Young Italians Abroad” di Brunella Filì,  “Spaghetti Story” di Ciro De Caro e si conclude con la tavola rotonda “Il lavoro e le relazioni: quale rappresentazione” con la partecipazione Antonio Medici (Storico del cinema), Edoardo Monaco (Direttore della UOD Medicina del Lavoro e del Centro sul Mobbing – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea).

Segui il tuo passo - un viaggio lento lungo le vie Francigene

Venerdì 02 Maggio 2014 16:05 Pubblicato in News

 
Venerdì 9 maggio 2014 alle 17.30 presso il Palazzo Farnese di Caprarola si terrà la cerimonia di premiazione del concorso di cortometraggi realizzati da giovani videomaker sul tema del viaggio lento.
 
Il progetto, promosso dall’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio e realizzato da Legambiente Lago di Vico intende contribuire alla conoscenza e alla fruizione delle Vie Francigene laziali, oggetto di una costante riscoperta da parte di una schiera sempre più numerosa di viaggiatori in tutte le stagioni dell'anno.
 
Nel corso della serata, alla presenza dell’Assessore alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio Lidia Ravera e della giuria presieduta da Marco Muller saranno presentati al pubblico e premiati i dieci corti finalisti.
 
Ospite d’onore dell’evento sarà il maestro del documentario naturalistico Folco Quilici che presenterà in anteprima il suo nuovo cortometraggio. I corti vincitori saranno inoltre proiettati nell’ambito della nona edizione della rassegna cinematografica "Lo Sguardo selvaggio" che si terrà dal 10 maggio al 1 giugno 2014 presso il Teatro delle Scuderie Farnese di Caprarola e successivamente inseriti nella programmazione del Tuscia Film Fest di Viterbo.
 
Giunge così a conclusione un progetto nato nell’ottobre scorso che ha visto all’opera un numero considerevole di giovani videomaker di tutta Italia che si sono confrontati nella massima libertà creativa e stilistica con un tema impegnativo, spesso riservato ad ambienti specialistici e di nicchia. L’argomento proposto ha offerto l’occasione per indagare le motivazioni che spingono le donne e gli uomini del Terzo Millennio a seguire i passi dei viandanti che per molti secoli hanno percorso le vie che conducevano a Roma. Un’esperienza unica che, in un’epoca segnata dalla velocità e dalla comunicazione istantanea, permette di sperimentare un tempo sospeso, in cui la consapevolezza di sé trova una dimensione più profonda ed il ritmo lento favorisce uno sguardo più intenso e penetrante.
 
Maggiori informazioni consultando www.seguiltuopasso.it

Temporary Road

Venerdì 02 Maggio 2014 15:38 Pubblicato in Recensioni

Cantautore, compositore, regista, pittore. Franco Battiato nei suoi quasi cinquant’anni di carriera si è dimostrato in grado di mettere continuamente in discussione se stesso in una ricerca sperimentale che ha segnato la storia della musica italiana e non solo. Nel 1972 fu il primo musicista italiano a utilizzare il VCS3, un sintetizzatore analogico, di cui, all’epoca, vennero venduti solo due modelli. Uno a Battiato, l’altro ai Pink Floyd. 

Secondo una teoria sulla reicarnazione, abbracciata dallo stesso Battiato, un uomo può vivere diverse vite. In Temporary Road si tenta di raccontarne una: quella dell’artista tout court che tutti conosciamo.
 
Quello che ne esce fuori è un ibrido abbastanza anonimo fra documentario e film concerto. A essere anonima non è certamente la voce di Battiato, ma la mano degli autori, il giornalista Giuseppe Pollicelli e il regista Marco Tanni. Le parole del cantante, il suo misticismo e la personalità prorompente sovrastano e annientano qualsiasi tentativo di istanza autoriale. L’invisibilità di Pollicelli e Tani, i quali si mettono da parte lasciando spazio esclusivamente alla figura di Battiato, si rifa, in parte, alla tradizione documetaristica di Wiseman, ma, in questo caso, genera un’opera trascurata e trascurabile, in cui le parole del cantante si confondono indistinguibili in un getto unico e continuo di verbosità irrefrenabile. I racconti della vita di Battiato sono privi di un vero file rouge o di un momento memorabile che cela una qualche epifania rivelatrice. Nonostante la presenza di tre montatori (Pollicelli, Tani e Alessandro Latrofa) manca una certa abilità di montaggio mirata a strutturare le argomentazioni del protagonista. Questa mancanza, oltre a svalutare le argomentazioni stesse, fa precipitare lo spettatore in un vortice inesorabile di noia, dal quale riesce a salvarsi solo grazie alla musica memorabile del maestro Battiato. 
Temporary Road. (Una) vita di Franco Battiato, presentato prima fuori concorso nella sezione “Festa Mobile” del Torino Film Festival, poi durante la XIII edizione del RIFF (Rome Independent Film Festival), è un film acerbo, che non riesce a codificare in immagini l’enorme potenziale espressivo del suo protagonista. Così facendo tende ad assomigliare più a una semplice (e un po’ confusa) biografia televisiva. Niente da dire contro le biografie televisive, ma il cinema è un’altra cosa. 
 
Angelo Santini

Snowpiercer

Venerdì 02 Maggio 2014 15:08 Pubblicato in Recensioni

Lo sci-fi a sfondo sociologico è forse il sottogenere più ambito dalle grandi produzioni cinematografiche: fecero da apripista capolavori come Blade Runner e Brazil negli anni '80, e da allora il fenomeno è esploso. Oltrepassando le fondamentali dinamiche filosofiche di Matrix - con cui, volenti o nolenti, tutti i successivi hanno dovuto fare i conti -, negli ultimi anni si è arrivati a risposte interessanti: su tutti Moon e District 9, in grado di interiorizzare con originalità i temi della lotta di classe. D'altro canto, per ogni titolo riuscito almeno altri dieci deludono le aspettative, proponendo banalità in salsa mista ripescate dall'inossidabile calderone post apocalittico. Ma per forza di cose, quando si parla di fantascienza, la credibilità del mondo descritto, o anche solamente teorizzato, è un caposaldo che non può essere aggirato; a meno che non si abbia l'anticonformismo nel sangue per snobbare ogni pretesa di verosimiglianza, come insegna Tim Burton in Mars Attack. Snowpiercer non fa eccezione, pur essendo una pellicola orientale, segue i dettami dei blockbuster occidentali e ha ottenuto un'ottima risposta di pubblico, agevolata dal favore della critica e da una massiccia campagna pubblicitaria, cavalcando la nomea di "film più costoso della Corea del Sud".

In un futuro prossimo, il globo terrestre è vittima di una repentina glaciazione, gli ultimi barlumi di umanità sopravvivono all'interno di un treno dalla tecnologia rivoluzionaria, in grado di resistere alle condizioni proibitive snodandosi in moto perpetuo lungo la terra. Ma all'interno dei vagoni quel che resta della civiltà è un microcosmo, che ha visto amplificate incongruenze e disparità sociali. I superstiti, un coacervo di razze e culture, si ritrovano divisi in classi rigidamente separate, secondo le regole dettate da Wilford, il creatore del treno, che ha consapevolmente generato un mostro, una società distopica che governa con metodi totalitari e repressivi. I reietti, ammassati in fondo al treno da 17 interminabili anni, si ribelleranno sotto la guida del giovane Curtis, aiutato da un prigioniero asiatico in grado di eludere i sistemi di sicurezza. Di vagone in vagone, avanzeranno scalando la piramide del potere, con un solo obiettivo: arrivare al meccanismo che governa quest'equilibrio così ingiusto, secretato alla testa del treno.

È plausibile pensare che non sia un caso, che John Hurt e Ed Harris - rispettivamente la guida morale della rivolta e lo stesso Wilford - siano vicini ai ruoli interpretati in Orwell 1984 e The Truman Show, come a conferma di una chiave di lettura semplicistica e senza troppe pretese. Lo dimostrano le situazioni simboliche che a ogni vagone si materializzano di punto in bianco, come prestabilite dal più banale dei canovacci action, enfatizzate e caratterizzate a livello puramente superficiale, con pretese pseudo-filosofiche che assumono contorni caricaturali. I profili monodimensionali dei personaggi (l'eroe assillato dai dubbi, il vecchio saggio che guida la rivolta, la disumanità gratuita dei carcerieri, il despota arroccato nella torre d'avorio a manovrare i fili delle sue marionette ) non sono altro che cliché maldestri, per di più privi di spessore psicologico, arrivando quasi a schernire il livello di coscienza critica dello spettatore. Come se non bastasse, le incongruenze della sceneggiatura (che popolano il film anche meglio di qualche personaggio) così come le spiegazioni aleatorie al mondo rappresentato, restano criticità marginali rispetto agli sfondoni scientifici che si accatastano vagone dopo vagone, in una spirale orrorifica: dalla termodinamica alla meccanica, dalla biochimica alla balistica, e persino aspetti a livello puramente visivo, come le proporzioni dei vagoni, lasciano basiti: magie incontrollate della computer grafica postproduzione. Paradossalmente è l'epilogo, spesso tallone d'Achille di molte pellicole sci-fi, ad essere una piccola grande sorpresa, con un finale aperto a più interpretazioni dall'aroma agrodolce, strappando un sorriso o un ghigno che sia, ma non riuscendo ormai più a recuperare i pezzi di un gioco ormai in frantumi. 

La regia di Bong Joon-ho, nelle precedenti pellicole, si era dimostrata capace di frangenti di cinema che difficilmente sarebbero stati comprensibili in questo contesto: l'alternarsi di elementi di comicità, di drammaticità e di violenza che sfociano nel grottesco o nel morboso o addirittura nel filosofico sono il risultato di una sensibilità prettamente orientale. In Snowpiercer gli angoli di questa peculiarità narrativa sono stati ampiamente smussati, relegando le poche derivazioni concesse tra le pieghe dell'interpretazione dell'attore feticcio Kang-ho Song. Così ora, sempre sperando in una sua resurrezione dagli inferi delle dinamiche del cinema occidentale, questo grande regista lascia in eredità - nonostante fotografia e direzione restino gli aspetti più solidi del film - un vistoso passo indietro rispetto alla poetica mostrata in Memories Of Murder e Mother, ma anche nell'horror fantascientifico The Host: una commistione visionaria di generi, autentici gioielli orientali che da noi hanno finito per confondersi alla bigiotteria qualsiasi, ma che per gli amanti di tutto ciò che è sotto (fuori) traccia non si tarderà a recensire.

 

Pollo Scatenato