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Ziggy Stardust & The Spiders from Mars: il film

Lunedì 03 Luglio 2023 14:48 Pubblicato in Recensioni

“Ziggy played guitar. Jamming good with Weird and Gilly, the Spiders from Mars” così incarnandone l’alter ego da lui stesso ideato, David Bowie raccontava al mondo (con il brano “Ziggy Stardust”) chi fosse questo affascinante alieno, venuto da Marte sulla terra per esibirsi in pubblico nell’omonimo Tour in 103 concerti, 60 città dal 29 Gennaio del 1972 (Aylesbury) al 3 luglio del 1973. L’ultima tappa (filmata dal regista D.A. Pennebaker) avvenne a Londra sul palco dell’Hammesmith Odeon.

Il figlio del regista, Frazer Pennebaker, oggi ha riproposto (in qualità 4K con audio 5.1) quella giornata straordinaria con il progetto “Ziggy Stardust & The Spiders from Mars: il film” (in Italia a cura di Nexo Digital) per riportarlo cinquant’anni dopo nei cinema di tutto il mondo. Il documento di straordinaria importanza, non è un vero e proprio “film” come suggerisce il titolo, ma una versione inedita del concerto, con la scaletta completa e l’aggiunta (rispetto alla versione precedente) della performance di “The Jene Genie” e la chiusa di Jeff Beck .
Facciamo un salto nel passato: nei (pochi minuti) di dietro le quinte, Bowie, instancabile professionista, è nel suo camerino, con lo staff di truccatrici e costumiste che gli sistema un look già perfetto. Angie, sua prima moglie, ironizza sul suo rossetto e lui risponde sardonico: “Sei una ragazza, che ne vuoi sapere di trucchi”. Il ragazzo di appena 26 anni, sta per incantare un pubblico di 5000 fan scalmanati, con alle spalle l’esperienza degli Stati Uniti e del Giappone, di cui ha assorbito l’essenza, durante il concerto indossa (tra gli altri) un abito striminzito da donna, con un coniglio ricamato , che si dice trovò dimenticato in una vetrina e che, neanche le signore lo volevano, ma lui riconobbe il talento dello stilista Kansai Yamamoto e lo comprò, stringendo poi un’amicizia con l’ideatore con cui nacque una collaborazione straordinaria negli anni a seguire.

Bowie si approccia al palcoscenico non solo come cantante ma piuttosto come attore, racconta delle storie e come tutte, ne scrive l’inizio e la fine. Quel concerto raccontava l’epilogo della brevissima vita di Ziggy, un personaggio vissuto per poco più di un anno che, romanticamente con la canzone “Rock’n’Roll Suicide”, si congedava dal suo pubblico di adoranti con le note che accompagnano i versi: “Gimme your hands cause you’are wonderful”. Il 13 aprile del 1973 Bowie, pubblicherà un nuovo album che avrà il nome di quello che lui stesso definiva lo “Ziggy Americano”  Aladdin Sane, con la celebre saetta sul volto, a testimoniarne il suo lascito, che gli permise una lunga e straordinaria vita consacrata alla sua arte.

Francesca Tulli

Piggy

Mercoledì 05 Luglio 2023 15:41 Pubblicato in Recensioni

Sembrerebbe una classica storia di bullismo declinata tutta al femminile, con una ragazza adolescente in sovrappeso (Sara) presa di mira e additata con l’appellativo di "Miss Bacon" e altri epiteti poco gentili, tutti riferiti alla sua stazza imponente e correlati all’attività lavorativa di famiglia che gestisce una macelleria.
Nemmeno cercando la solitudine e, sforzandosi di rimanere a debita distanza dal branco, questa ragazza riesce a sfuggire alle vessazioni che le sue aguzzine (tre ragazze coetanee tra le quali una sua amichetta d'infanzia) le infliggono ogni qual volta si presenta l’occasione.
Sembra destinata a soccombere sempre, fino a quando interviene in suo favore
qualcuno d’inaspettato.
L’ingresso in scena di questo giovane uomo, anch’egli complessato e problematico ma per altre ragioni, sposta completamente il focus della narrazione e il film acquista, nella mani della brava regista, una veste prettamente thriller/noir.
Questo cambio di registro ad alto tasso adrenalinico introduce anche il tema splatter che da questo momento prende decisamente il sopravvento. D'ora in poi la violenza da verbale e psicologica si fa sempre più fisica e si assiste ad una vera e propria mattanza dove le vittime, questa volta, sono le precedenti carnefici in una legge del contrappasso che non lascia scampo.
Il finale, ancora una volta, spiazza lo spettatore.
La conclusione scontata di una vendetta, sebbene ad infliggerla sia un terzo personaggio che cerca un modo per farsi giustizia da sè e rendere un favore a chi ritiene meriti una vita migliore anche perché esercita un certo ascendente su di lui, non si realizza.
Invece si assiste ad un altro cambio di prospettiva e la vittima non diventa a sua volta aguzzino ma dimostra maturità e ragionevolezza.
Agisce con la testa e fa l’unica cosa possibile per non scendere all’infimo livello dal quale si era partiti.
L'ultima scena è un lungo piano sequenza che accompagna la protagonista, alla quale ci si è inevitabilmente affezionati, verso la salvezza, lontano dal sangue che ha l’ha completamente intrisa facendolo scorrere a fiumi senza che ce ne fosse un valido motivo. Assistiamo ad un escalation di violenza che sembra non avere mai fine e che termina grazie all’intelligenza di chi sceglie di non abbassarsi al livello di chi non ha altri argomenti per reagire ai soprusi.
Un film che parla di bullismo ma che non annoia e non appare mai banale grazie ad un mix vincente di più generi che vengono sviscerati con maestria. La regia crea la giusta suspence, tiene sulla corda, incuriosisce e dimostra in modo originale quali soluzioni siano quelle vincenti per far
desistere i prepotenti.
Si avvale di una fotografia molto realistica, utilizza inquadrature efficaci ad immedesimarsi con il punto di vista dei vari personaggi, si serve di una colonna sonora che sottolinea bene i momenti tensivi e suggella il tutto con un montaggio veloce che tralascia il superfluo.
Il film poi, ed è la cosa più importante, veicola in maniera chiara e netta un bel messaggio: le persone bullizzate che non commettono gli stessi errori dei bulli, rimanendo superiori nelle intenzioni e nei fatti, fa di loro le uniche vere persone vincenti.

Virna Castiglioni

Arriva nelle sale cinematografiche il 13 Luglio 2023 Mi raccomando, nuovo lungometraggio diretto e interpretato da Ciro Villano, dopo Fallo per papà, La legge èuguale per tutti… forse e Ammèn.

Oltre allo stesso Villano, Mi raccomando include nel cast Antonio Medugno, Vittoria Chiolero, Anna D’Auria, Renato Sica, Corrado Taranto, Luciana Nigro, Toni Mazzara, Simone Moretto, Rosaria Russo, Mauro Tarantini, Michele Franco, Nicola Marchitiello,con la partecipazione straordinaria di Davide Marotta, Franco Barbero, Maurizio Mattioli e Gianni Parisi.

Mi raccomando racconta coi toni della commedia agrodolce le vicende di due cognati inperenne conflitto, costretti a lasciare la loro terra per tentare di realizzarsi. Ma nulla è semplice in questo viaggio e i due capiranno presto che niente è come sembra ed è come ci si aspetta che sia. L'eterno confronto nord/sud, quindi, s'innesta in questa commedia divertente e romantica che affronta o prova ad affrontare e a ribaltare una serie di luoghi comuni, oltre ad evidenziare lo scontro tra onestà e disonestà di personaggi che passeggiano sul filo dell'ambiguità, tra simpatia e cialtroneria. Si pensa che i più furbi stiano al sud, ma in realtà le volpi sono ovunque. È così che Ciro, giovane brillante laureato e disoccupato, si ritrova coinvolto in un elaborato stratagemma tra un “geniale”cognato e degli scaltri, ma non troppo, agenti della truffa sabaudi. Attorno a questo nucleo di sincerità apparente vengono fuori contrasti tra sud e nord, in tutti i loro aspetti folkloristici e un amore a rotelle.

 

Il regista dichiara: “Sono legato a questo film soprattutto perché le riprese sono durate tre anni, in quanto ha attraversato il periodo peggiore per il nostro settore. Lo abbiamo iniziato nel periodo di pre-pandemia, poi lo abbiamo dovuto bloccare e, purtroppo, c’è stato un cambiamento di cast. Il bambino, che è uno dei protagonisti, è cresciuto, ma non abbiamo mollato. La tenacia della produzione e del cast tecnico-artistico ha fatto sì che il film venisse portato a termine e che arrivasse ora nelle sale. Quindi, al di là del concetto della commedia, che comunque racconta qualcosa di vero, cioè il fatto di non avere pregiudizi nei confronti del nord e del sud, per me passa addirittura in secondo piano perché la bellezza del film è stata nel farlo e realizzarlo. La pandemia ha distrutto tantissime piccole produzioni indipendenti, soprattutto nel cinema, mentre noi ce l’abbiamo fatta e, alla fine, mi sono emozionato perché ne siamo venuti fuori”.

Con musiche di Pino Tafuto e fotografia di Maurizio Sala, Mi raccomando è prodotto da Salvatore Scarico e Manuela Montella ed è distribuito da Green Film s.r.l..

A Thousand and One

Giovedì 29 Giugno 2023 11:06 Pubblicato in Recensioni

L’opera prima della regista newyorkese A.V. Rockwell è una carrellata intimista sulla vita di una madre e suo figlio di 7 anni, afroamericani di Harlem, sullo sfondo della Grande Melaattraversata dai cambiamenti negli 11 anni dal 1994 al 2005.

La scena si apre con immagini di repertorio degli anni 90: una New York che esplora la sua vitalità e la sua ascesa. Palazzi e tetti urbani che svettano, sovrastando le vite incerte di chi vive nei sobborghi cittadini tra espedienti e piccola criminalità. Inez (Teyana Taylor) è una parrucchiera ventiduenne appena uscita di galera. Ha scontato una non ben precisata condanna per furto, probabilmente in complicità con il suo uomo, ed è in cerca del suo posto nel mondo. 

Inez non ha origini né destinazione. Non ha lavoro, né un posto dove andare. Il suo rifugio diventa Terry, suo figlio di 6 anni che rapisce dall’ospedale in cui era ricoverato per un incidente accaduto nella casa della sua famiglia affidataria.

La parabola lunga dieci anni della crescita di un figlio e, insieme, di una madre poco più che ventenne è un excursus di salite e discese emotive. Nella New York del repubblicano Giuliani prima e di Bloomberg poi, si frastagliano le vicende delle minoranze dei ghetti cittadini, dove la vita sembra scorrere più lentamente e inesorabile e dove chi è più scaltro fugge o incalza la vita, prima che il peggio possa travolgerlo.

L’incontro tra le due solitudini, una con un passato che pesa come un fardello emotivo sulla schiena e l’altra con un futuro incerto di chi ha nostalgia di un nido familiare sconosciuto, pone l’accento sulla riconsiderazione morale di un gesto fuori dai margini della legalità. “Chi è ferito non sa amare” dice Inez al figlio ormai adolescente. Chi si porta dietro laceranti piaghe emotive non sa come riversare il proprio amore sugli altri. In queste parole c’è tutto il suo dolore, il rimpianto e la rabbia di chi paga le conseguenze di colpe non proprie, come chi ruba per necessità. Ruba denaro e ruba i sentimenti; desidera provarli e riceverli disperatamente ma non ha gli strumenti e i mezzi per ricercarli in maniera funzionale. La città divora le anime; è cattiva. Harlem è un ghetto e la sua evoluzione non è solo urbanistica e culturale ma anche politica. La regista lo racconta tenendo sullo sfondo i cambiamenti governativi che hanno accompagnato gli 11 anni in cui si racconta la vicenda.

Quando Terry, che Inez chiama “T.” come un eterno inizio di chi paradossalmente vive di solo presente, senza un passato che lo origini, cresce e si scopre intelligente, più della media dei suoi coetanei, gli si spalancano le porte delle possibilità. Si comincia a intravedere la sagoma di un futuro che prima era solo l’eterna proiezione di un presente senza spessore.

Terry però è legato a quel presente. E’ il nido che ha sempre cercato. E’ la sua identità, formatasi nel ghetto newyorkese di una periferia scalpitante e governata da dinamiche che lui stesso fa ancora fatica a decifrare ma che rappresentano l’identificazione a una collettività di quartiere, primo vero nucleo familiare che si è costruito negli anni di convivenza con la madre e il suo compagno Lucky, la figura paterna e profondamente umana che lo segue nella sua evoluzione da bambino a uomo.

Il bisogno d’amore e di appartenenza è il filo conduttore di tutta la pellicola. Prima in termini di amore materno, poi filiale, poi sentimentale, fino a passare dall’idea di collettività familiare a quella socioculturale, senza trascurare l’idea comunitaria di una minoranza i cui diritti appaiono in continua evoluzione, al pari dei pregiudizi di cui è vittima.

Valeria Volpini