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Fortunata

Mercoledì 24 Maggio 2017 13:42 Pubblicato in Recensioni
La vita di Fortunata (Jasmine Trinca), parrucchiera che sbarca il lunario di porta in porta, è una vita di sacrifici e dolori. Condivide queste pene con la figlia Barbara (Nicole Centanni) di 8 anni, dopo la separazione dal marito violento e despota. Siamo nella periferia di Roma, luogo nel quale Fortunata vuole, con tenacia, realizzare il suo sogno: aprire un negozio di acconciature. Conforto e man forte li trova in Chicano (Alessandro Borghi), anch’egli uomo problematico dalla personalità bipolare. Entrambe sognano una vita felice o almeno dignitosa, in grado di garantirgli un’esistenza che si possa definire normale. Fortunata conosce Patrizio (Stefano Accorsi), psicoterapeuta infantile, che ha in cura la figlia. Sulla sua strada impervia verso la realizzazione non si aspetta di ritrovare un amore vero, ma questo arriva come un ciclone. Amore che fa vacillare tutte le sue certezze. Forse in Patrizio ha trovato chi la può capire veramente e aiutarla a portare in salvo la sua esistenza. In queste travagliate vicende compare anche un personaggio alquanto bizzarro e folkloristico: Lotte (Hanna Schygulla), la madre di Chicano, che porta una sorta di poesia/pazzia all’interno della storia. 
 
Fortunata, presentato al Festival di Cannes edizione 70 nella sezione Un Certain Regard, è un film convenzionale; come lo sono i suoi protagonisti, ben identificati dai loro costumi, che non dismettono mai. E fin a qui nessun problema, anzi, parte con i più buoni auspici il film di Sergio Castellitto, sceneggiato dalla moglie Margaret Mazzantini. Le magagne, purtroppo, diventano ingombranti con l’andar del tempo e più ci si avvicina alla risoluzione, più queste legittimano la propria presenza. Lo spettatore si prende carico di troppi perché, non trovando risposte e conseguentemente l’appeal si perde e cade, giù da una scalinata con un alto grado di pendenza, portando con sei i personaggi, dai quali ci si disaffeziona. Colpevole di tutto questo è lo script, disseminato di svolte discutibili, che interrompono bruscamente gli equilibri creatisi. I buoni propositi iniziali si perdono in una sceneggiatura che cerca la tragedia per forza senza mai trovarla per davvero. La seconda parte della pellicola si spezza e non si ricompone mai. Situazioni non chiare e neppure intuibili si contrappongono ad altre eccessivamente spiegate. Il vero problema di Fortunata non è il moralismo o la direzione ricattatoria che prende, ma è la mancanza di compattezza.  
 
La regia si limita a fare il compitino e questo non basta per coprire le disattenzioni della scrittura. Per raccontare una storia ai margini bisogna analizzare e riflettere sulla violenza subita. Qui sembra tutto un po’ troppo sbrigativo. La scelta drammaturgica, di mischiare eccessivamente le carte, lascia indietro quest’aspetto. Si predilige una strada che cerca l’autorialità, anche con qualche simbolismo di troppo, ma questa non si trova. Il baricentro del film esce fuori bolla e l’avvenuta consapevolezza finale di Fortunata ne risente, arrivando un po’ pasticciata.  
 
Dì contral’altare, la messa in scena è costruita con accuratezza e rispecchia i protagonisti, anzi, sembra un personaggio vivente, sempre al fianco di Fortunata e delle sue amarezze.  Anche l’aspetto recitativo è ben supportato: Jasmine Trinca (miglior attrice Un Certain Regard, torna a Cannes 16 anni dopo La stanza del figlio di Nanni Moretti) intrepreta con passione e sentimento una donna coriacea e caparbia, che sopravvive con viva resistenza ai temporali, che giornalmente gli si abbattono contro.  Menzione speciale anche per Alessandro Borghi: porta sullo schermo, con veridicità, un Chicano con le naturali caratteristiche del depresso e del birbone. 
 
David Siena
 
 
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Sembra che il cinema italiano abbia bisogno di violenza ed esasperazione per regalarci qualcosa di intimamente emozionante che ci faccia uscire dalla sala soddisfatti, temporaneamente lacerati da una cesura delle nostre esistenze immobili seppur nel loro moto nevrotico. 
Sembra, inoltre, che un film drammatico debba necessariamente contenere una vibrante scena di sesso fra un uomo e una donna non consenziente (si chiama stupro, anche se lei non ha gridato troppo forte) per caricarsi di un senso tragico che getti luce su un’umanità proletaria e dolente in una società disumanizzata. 
Sembra, infine, che il film anziché “parlato” debba essere urlato, sparato sopra le righe, come i sentimenti buttati in piazza nei talk show televisivi, perché i pieni continuano a contare sempre di più dei vuoti.
 “Fortunata”, ultima fatica della coppia Mazzantini-Castellitto, rientra purtroppo in questo quadro nefasto, e rischia di ritagliarsi anche un posto di rilievo nel cinema italiano contemporaneo dopo il successo di Jasmin Trinca (peraltro impeccabile nel ruolo), migliore attrice della sezione “Un Certain Regard” di Cannes 2017. 
Per Castellitto “Fortunata è una Madame Bovary delle borgate romane”. Per chi scrive tale comparazione appare quanto mai superba per descrivere, invece, una disumana galleria di casi umani al limiti del verosimile dilaniati da traumi infantili, malattie psicologiche, segreti nascosti, violenze quotidiane, povertà e misera . Osservati – ed è questo l’elemento più scorretto e fastidioso – da un occhio (e un portafoglio) alto-borghese che, saldamente attaccato alla sua zona di confort – si prende la bega di scendere nelle periferie romane per cercare di capire, pur non capendo, come si muovono queste vite strane, cosa pensano, cosa si dicono, di cosa sono fatte le loro giornate. Per poi mettere in atto un’altra operazione spiacevole, ovvero appioppare sulle spalle di questa povera gente una montagna di casini personali e pubblici, conditi da colpi di scena tranchant e da quel pizzico di marciume umano, troppo umano. 
Ma veniamo ai dettagli. Fortunata (insulso dibattito intorno al nome ripreso in più parti del film) è una donna sui 30, rimasta orfana da bambina, che campa come può con un lavoro di parrucchiera a domicilio a nero. Ha una figlia di 8 anni e un ex marito (Edoardo Pesce) dal quale non è ancora formalmente divorziata. Vive ancora nella casa di lui, il quale si permette infatti di andare e venire quando e come vuole, di aggredirla verbalmente e sessualmente, mentre lei sopporta in assenza di alternative. Suo amico e compagno di avventure e sventure è Chicano (Alessandro Borghi), ragazzo tossicodipendente, affetto da disturbo bipolare, disoccupato e con un madre ormai devastata dal morbo di Alzheimer. Questo quadro parla da sé a chi ha un’idea di cosa significhi costruire dei personaggi armonici e bilanciati seppur nelle loro idiosincrasie e problematiche. Ma vale la pena addentrarsi brevemente nel cuore della storia per aggiungere altri tasselli ad un mondo di umiliati e offesi che non hanno tuttavia nulla del capolavoro russo. Proprio mentre Fortunata accarezza l’idea di chiedere i soldi in prestito ai nuovi strozzini – i cinesi –  per realizzare il sogno di un negozio di parrucchiera tutto suo (da gestire insieme a Chicano), arrivano i servizi sociali che la ingiungono a ricorrere ad un consulto psichiatrico per sua figlia. Avviene così l’incontro con Patrizio (Stefano Accorsi), psicoterapeuta dolce e a modo, che sarà il detonatore di una tragica serie di eventi a catena con rivelazione finale. 
Ci sono due mondi in “Fortunata”: quello di Patrizio, dei buoni, delle istituzioni e della lingua italiana standard da una parte e quello di Fortunata-Franco-Chicano, della borgata sporca e del romanesco, dall’altra. Due mondi rigorosamente separati nonostante i tentativi di accesso del primo sui secondi attraverso la “variabile dell’amore” che tutto può e tutto deve. Ma è proprio questo incontro impossibile, che vorrebbe essere la miccia di iniziazione di una “educazione sentimentale di periferia” (come la chiama Castellitto), ad essere prevedibile e artificioso, vanificando i successivi incastri della sceneggiatura. 
Al di là dei personaggi-marionette, fastidiosi per quanto ridicoli (che stanno in piedi grazie alle buonissime performances di Jasmin Trinca, Alessandro Borghi ed Edoardo Pesce); al di là di una colonna sonora che sceglie il pop più abusato di “Friday I’m in Love”, “Have you Ever Seen the Rain” e dulcis in fundo “Vivere” di Vasco Rossi. Al di là della prosaica metafora di Antigone, ripetuta fino allo sfinimento, e dello sbagliatissimo cliché della donna-fonte di guai di cui si nutre una vasta cultura maschilista…Al di là di tutto questo, è la mancanza del “sentimento” verso i personaggi (“L’impegno è in primo luogo un sentimento, il sentire nel profondo la sofferenza di chi non ha voce” scriveva Dario Fo), di un autentico pathos non ridotto al patetismo, a pesare di più durante la visione del film. Troppa presunzione e troppo poco rispetto, insomma. 
Non mancano le scene ben realizzate (come la soggettiva sulla figura possente e sfumata di Fortunata che entra in acqua), alcuni efficaci momenti di messa in scena drammaturgica (come nella scena in cui Fortunata rivela il suo segreto inconfessabile nello spazio senza uscite delle carceri), le riprese “ad altezza umana” che inseguono da vicinissimo pianti e sorrisi, una buona fotografia delle Roma di borgata, asfissiante di giorno e colpevole di notte. Eppure è un po’ poco per un regista e una sceneggiatrice al loro quarto film insieme, che sono letteralmente adorati da una certa critica e da un certo pubblico. Davvero troppo poco.
 
Elisa Fiorucci

Globi d'Oro 2017. Annunciate le candidature

Martedì 30 Maggio 2017 14:02 Pubblicato in News
L’Associazione della Stampa Estera è lieta di annunciare le cinquine dei Globi d’Oro 2017, i premi della Stampa Estera ai film italiani arrivati alla 57a edizione.
I vincitori saranno svelati durante la cerimonia di premiazione a inviti che si terrà mercoledì 14 giugno a Villa Medici.
L’ Associazione della Stampa Estera annuncia inoltre il Globo d‘Oro alla Carriera al regista Dario Argento e il Gran Premio della Stampa Estera a Restaurare il cielo di Tommaso Santi. Entrambi i premi saranno consegnati durante la cerimonia del 14 giugno.
 
 
GLOBO D’ORO ALLA CARRIERA a DARIO ARGENTO 
 
L’Associazione della Stampa Estera in Italia conferisce quest’anno il suo Premio alla Carriera a Dario Argento, maestro indiscusso della suspense e del brivido. Dario Argento definisce se stesso «il più grande assassino del cinema italiano» per i suoi 90 omicidi eccellenti in quasi cinquant’anni di carriera. Con un tocco d'ironia e con raffinata maestria ha saputo tenere gli spettatori col fiato sospeso fino all’ultimo.
Molto amato all’estero, firma le sue opere mettendo in scena le sue mani, come faceva Hitchcock con il suo profilo. A lui chiediamo di non smettere mai di terrorizzarci.
 
GRAN PREMIO DELLA STAMPA ESTERA a RESTAURARE IL CIELO di Tommaso Santi
 
Talvolta le favole escono dai film, si fanno spazio nella realtà e mostrano che c’è “un mondo possibile”. Un mondo dove intesa, accordo e collaborazione fanno sì che eccellenza artigiana e tradizione italiana arrivino a restaurare un pezzo della storia comune dell’umanità. 
Fatti che, di per se, sono già un piccolo miracolo. 
 
 
CANDIDATURE DELLA 57a EDIZIONE DEI GLOBI D’ORO
 
 
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
 
Blue Screen di Riccardo Bolo e Alessandro Arfuso
Buffet di Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis
Confino di Nico Bonomolo
Penalty di Aldo Iuliano
Uno scatto d’autore di Consuelo Pascali
 
MIGLIOR DOCUMENTARIO*
 
60 - Ieri Oggi Domani di Giorgio Treves
Cacciatore di paesaggi di Fabio Toncelli
Cinque mo(N)di di Giancarlo Soldi
Il pugile del Duce di Tony Saccucci
Italian Offshore di Marcello Brecciaroli, Manuele Bonaccorsi, Salvatore Altiero
Liberami di Federica Di Giacomo
L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria
Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri
Uberto degli Specchi di Marco Mensa, Elisa Mereghetti
Via della Conciliazione di Raffaele Brunetti, Piergiorgio Curzi
 
MIGLIOR OPERA PRIMA
 
Chi salverà le rose di Cesare Furesi
La pelle dell’orso di Marco Segato
La ragazza del mondo di Marco Danieli
Le ultime cose di Irene Dionisio
Our War di Benedetta Argentieri, Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia
 
MIGLIORE COMMEDIA
 
Beata ignoranza di Massimiliano Bruno
Che vuoi che sia di Edoardo Leo
In guerra per amore di Pierfrancesco Diliberto
Lasciati andare di Francesco Amato
Questione di Karma di Edoardo Falcone
 
MIGLIORE SCENEGGIATURA
 
Fai bei sogni  - Marco Bellocchio, Edoardo Albinati, Valia Santella
La pazza gioia - Paolo Virzì, Francesca Archibugi
La ragazza del mondo - Marco Danieli, Antonio Manca
La tenerezza - Gianni Amelio, Alberto Taraglio
Veloce come il vento - Matteo Rovere, Francesca Manieri, Filippo Gravino
 
MIGLIORE ATTRICE
 
Valeria Ciangottini per Cronaca di una passione
Angela e Marianna Fontana per Indivisibili
Isabella Ragonese per Il padre d’Italia
Micaela Ramazzotti per La tenerezza
Sara Serraiocco per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE ATTORE
 
Stefano Accorsi per Veloce come il vento
Renato Carpentieri per La tenerezza
Carlo Delle Piane per Chi salverà le rose
Luca Marinelli per Il padre d’Italia
Michele Riondino per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE MUSICA
 
Enzo Avitabile per Indivisibili
Nino D’Angelo per Falchi
Stefano Di Battista per Sole Cuore Amore
Andrea Farri per Lasciati andare
Marcello Peghin per Chi salverà le rose
 
MIGLIOR FOTOGRAFIA
 
Maurizio Calvesi per Questione di Karma
Vincenzo Carpineta per La stoffa dei sogni
Daniele Ciprì per In guerra per amore
Daria D’Antonio per La pelle dell’orso
Michele D’Attanasio per Veloce come il vento
 
MIGLIOR FILM
 
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu
La tenerezza di Gianni Amelio
 
 
 
* Per la prima volta nella storia dei Globi d’Oro, l’Associazione della Stampa Estera ha preferito creare una decina, invece di una cinquina, per la sezione documentari tenendo conto della grande crescita e 
qualità delle produzioni di questo genere in Italia durante l’anno 2016/2017.

MacroManara in mostra il maestro del fumetto erotico

Lunedì 22 Maggio 2017 12:38 Pubblicato in News
Il Maestro dell’eros Milo Manara è in mostra a Roma  dal 26 maggio al 9 luglio 2017, al MACRO di Testaccio (Piazza Orazio Giustiniani, 4), con «MACROMANARA - Tutto ricominciò con un’estate romana» che ripercorrerà l’intera carriera del fumettista veronese attraverso due percorsi principali:
da una parte una ricca proposta antologica, attraverso la quale si tracceranno tutte le grandi opere degli anni ’70, ’80 e ’90, dalle straordinarie tavole di Giuseppe Bergman a quel Tutto ricomincio con un’estate indiana che lo vide lavorare in coppia con l'amico Hugo Pratt, con il quale - successivamente - realizzò anche El Gaucho. E ancora Lo Scimmiotto, Gulliveriana, le storie del Gioco, di Miele e molto altro!
Dall’altra, la produzione più contemporanea (completa delle commission estere per Stati Uniti e Francia) e il suo rapporto con Roma e il cinema: dalla Cinecittà di Federico Fellini fino ai Borgia e Caravaggio, con una serie di illustrazioni dedicate alle grandi dive cinematografiche che saranno esposte per la prima volta e andranno a comporre un portfolio inedito che Comicon Edizioni presenterà in anteprima all’ARF! Festival.
 
"Dalla morte di Hugo Pratt, il mio migliore amico è Tanino Liberatore, il Michelangelo del fumetto, il fratello eterozigote di Andrea Pazienza, ma davvero frequento pochissime persone. Qualche volta vado in giro per festival, e ci vado soprattutto per rivedere i vecchi amici. Hugo Pratt coltivava la sua libertà interiore a un livello così alto da esserne persino danneggiato. Fu un padre assente, ha lasciato dei vuoti. Ma mi insegnò ad essere LIBERO nel mio lavoro"  
Milo Manara
 
 
MILO MANARA nasce a Luson in provincia di Bolzano il 12 settembre 1945. Debutta alla fine degli anni ’60 come autore di storie erotico-poliziesche sulla collana Genius e subito dopo in Jolanda de Almaviva, serie sexy di grande successo. Negli anni ’70 avvia la collaborazione con il Corriere dei Ragazzi, con una serie di fumetti sceneggiati da Mino Milani, La parola alla Giuria. Nello stesso periodo, sui testi di Alfredo Castelli e Mario Gomboli, realizza Un fascio di bombe. Subito dopo, assieme a Silverio Pisu, Manara da’ vita a Lo scimmiotto e Alessio, il borghese rivoluzionario, che segnano il suo debutto nel fumetto d’autore.
Nel 1978 crea il suo primo personaggio di successo, pubblicato in prima battuta in Francia dalla rivista “A Suivre”: HP e Giuseppe Bergman, dove HP è un chiaro riferimento al suo maestro e mentore Hugo Pratt. Nei primo anni ’80 crea Il Gioco, storia ad alta densità erotica che gli da’ un successo a livello mondiale. Di questo periodo è anche il primo di due lavori su testi di Pratt: Tutto ricominciò con un’estate indiana, seguita anni dopo da El Gaucho. Su sceneggiatura di Castelli, Manaradisegna poi L’Uomo delle nevi per la celebre collana “Un Uomo, un’avventura”. Subito dopo crea Miele, forse il suo personaggio femminile più famoso, protagonista dei volumi Il profumo dell’invisibile e di sei storie brevi intitolate Candid Camera.
Nel 1987 inizia la collaborazione con Federico Fellini, il quale gli chiede le illustrazioni di una sceneggiatura. Da qui Manara, con il consenso del regista, trasforma il testo di Fellini in Viaggio a Tulum, seguito da Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Fanno seguito le trasposizione a fumetti di tre classici della letteratura: Gulliveriana, Kamasutra e L’asino d’oro. Disegna inoltre tre storie di carattere sociale: Ballata in Si bemolle (dedicata al tema dell’usura), Rivoluzione (sull’imbarbarimento generato dalla televisione) e Tre ragazze nella rete (ispirata al mondo di internet). Il decennio si chiude con il ritorno di Giuseppe Bergman con A riveder le stelle.
Nel 2009 la Marvel Comics gli commissiona - in coppia con Chris Claremont - una storia degli X-Men tutta al femminile (Ragazze in fuga) che non è il suo unica excursus nei comics americani, considerando la sua importante collaborazione sul Sandman di Neil Gaiman. Su sceneggiatura di Vincenzo Cerami pubblica Gli occhi di Pandora. Dall’inizio degli anni Duemila, Manara lavora al progetto Il pittore e la modella, un viaggio nella storia dell’arte pittorica. Su testi di Alejandro Jodorowsky disegna poi un fumetto sulla casata de i Borgia. Nel 2008 sigla un accedo con il Napoli Comicon per la cura e la gestione di tutte le sue mostre in Italia e all’estero e pubblica per Panini il primo volume di Caravaggio.
Nel 2015 è nominato, per l’insieme della sua Opera, Magister di Napoli COMICON, dove presenta il primo di due volumi della storia del Caravaggio, per Panini Comics. Nel giugno 2016 realizza 25 acquerelli con protagonista Brigitte Bardot, primo autore a ritrarre l’attrice francese negli ultimi 20 anni, e attualmente è al lavoro sui bozzetti per una statua dell’iconica attrice francese, che sarà installata a Saint Tropez a settembre 2017.
 
 
La Mostra è aperta dal martedì alla domenica dalle 12.30 alle 19.30
Chiuso il lunedì.
 
Durante i giorni di Arf! Festival
(venerdì 26, giovedì 27 e venerdì 28 maggio)
la mostra sarà aperta al pubblico dalle 10.00 alle 20
 
 
 

I Peggiori

Mercoledì 17 Maggio 2017 08:41 Pubblicato in Recensioni
Due fratelli squattrinati e senza prospettive (Vincenzo Alfieri e Lino Guanciale), si trovano nella situazione di dover provvedere alla sorellina tredicenne (Sara Tancredi). Quando in piena crisi economica i soldi per far fronte a tutte le necessità vengono meno, mettono su un'attività poco ortodossa ma molto fantasiosa: vestiti i panni di due improbabili “eroi a pagamento”, sputtaneranno in rete i classici furbetti del quartierino, diventando gli idoli di tutti gli oppressi. 
 
I Peggiori, opera prima dell'appena più che trentenne Vincenzo Alfieri, nasce nella mente del regista quando era ancora uno studente liceale.
Questo lavoro, seppur non del tutto innovativo per il cinema italiano, risulta abbastanza singolare. La storia accattivante, strizza l'occhio a tutti quei simboli con cui la generazione degli anni '80 è cresciuta, contaminandosi con gli usi più comuni e attuali della tecnologia (social, microcamere, sovraesposizione video..), divenendo un bel mix di commedia, prodotto cucito su un tessuto sociale urbano di lunga e variegata tradizione narrativa con tipiche chiavi comiche e location ben codificate, e il nuovissimo (per l'Italia) cinecomic. 
Una scorrevole sceneggiatura, collaborazione a più mani di Alfieri, Alessandro Aronadio, Renato Sannio, Giorgio Caruso e Raffaele Verzillo, arricchita con dialoghi mordenti, nemmeno troppo prevedibili e gag spesso esilaranti, gioca col pubblico annullando la distanza imposta dallo schermo. 
Gran punto a favore è la scelta del cast, con attori azzeccati, convincenti e trascinanti anche nei ruoli marginali. Tra le partecipazioni spiccano quelle di Biagio Izzo e Francesco Paolantoni, in una chiave atipica rispetto a quella in cui siamo abituati a vederli, più cinici e noir. Ma l'accento è posto su Guanciale che è mattatore in scena, tutto sembra gravitare attorno a lui caricandolo forse anche un po' troppo di aspettative per consentirgli di vivere il ruolo con una maggiore spensieratezza. Lo stesso Alfieri si relega in un gradino inferiore, divenendo spalla dello scapestrato fratello. 
La storia dei supereroi scalcinati, generati da un contesto in cui diventeranno scintille deflagranti, circoscritti in una metropoli che fagocita chi ci vive, è già stata battuta.
Indubbi sono gli echi di prodotti quali Lo Chiamavano Jeeg Robot e Kick-Ass, ma il tutto viene ripreso in una forma differente, più leggera, spiritosa e autoironica, capace di conferire un carattere ben definito che non fa continuamente scattare il confronto. 
I Peggiori ha il merito di ribattere forte sulla sua natura di progetto contenuto, dove sì personaggi e storie erano già comparsi in forme analoghe, ma nel quale i luoghi e la narrazione conservano un'anima propria.
Diviene così parte di quei film profondamente italiani, con lo sguardo rivolto oltre oceano, ma immersi nelle nostre periferie dalle quali attingono a piene mani l'essenza. Il Centro Direzionale di Napoli può sembrare una Gotham City qualsiasi con dei palazzoni di specchi che si stagliano sopra cantieri a cielo aperto in una distesa di ferro e cemento; questo Alfieri l'ha ben capito, allontanando finalmente l'immaginario dal classico cliché a cui eravamo ormai assuefatti, quello delle Vele di Scampia e della Gomorra da Saviano in poi, restituendo un'identità alla città e regalandoci ugualmente delle belle sorprese.
 
Chiara Nucera