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Le formiche della citta' morta

Mercoledì 28 Maggio 2014 23:24 Pubblicato in Recensioni
Una realtà conosciuta, ma di cui non se ne parla più abbastanza. Il neo-regista Simone Bartolini, nella sua opera prima, ha voluto raccontare quegli habitat dimenticati di Roma, che sono al di sotto delle meraviglie di una città apparentemente perfetta, e che nasconde disagi e incoscienze giovanili ad oggi ancora frequenti. 
E' improntato come documentario e sfumato da una trama piuttosto prevedibile.
Il messaggio è chiaro. Lo smercio di droghe continua a spopolare nelle periferie della capitale, tra giovani e non solo. Che sia nei club o per la strada, basta individuare la persona giusta. Uno come tanti, è Simon Pietro, spacciatore con la passione per il rap, che ha il suo giro di amici suoi clienti, al quale la vita si presenta avversa. Allontanatosi dalla famiglia, cerca di sopravvivere a suo modo, e aggiungerei.. illegalmente. Perseguitato dalla gente che lo cerca per il solo scopo di comprare qualcosa, o perchè gli deve dei soldi. 
Viaggia con il suo scooter alla ricerca di favori, nuovi compratori o amici debitori. E' questa la giornata tipo di Simon Pietro, consumata in tutti gli 80 minuti. Ma più che con lo scooter, viaggia con la mente: si trasporta in situazioni surreali di piacere e appagamento personale, che vorrebbe ripercorrere parallelamente nel contesto attuale.. Ma, finita l'estasi, si ritrova sommerso dai problemi e dai guai irrisolti.
Il sogno è l'elemento latente nella vita di Simon Pietro. E' l'unica dimensione in cui sparisce la parte marcia della sua vita, riuscendo ad evadere da quella banda di tossici che lo circonda e di cui ne è il capostipite. Nei suoi sogni, Simon Pietro, è sempre al centro della scena, da rapper acclamato a fidanzato presente, fino a trovarsi in un triangolo amoroso inconscio.
Per lo meno ciò che rimane della coscienza di Simon Pietro, è il fatto di riuscire a non elemosinare dalla sua famiglia, o meglio da suo padre, mantenendo quella distanza, come una sorta di palliativo che conferisce rispetto al rapporto con i suoi cari.
 
Tutti gli attori, presi dalla strada, sono alla loro prima esperienza cinematografica, che spontanei, si immedesimano in riscontri di vita attuale e vissuta. Il protagonista si cala perfettamente nella figura da lui rappresentata: è bravissimo quando canta tanto quando spaccia. Simon P è rapper del Quarto Blocco nella vita reale, gruppo che contribuisce alla musica del film. Forte punto a favore sono di fatti le colonne sonore che mescolano hip-hop, rap duro dei Noyz Narcos, Chicoria e pezzi dei Tiromancino. Spesso questo tipo di musica viene associata allo stile di vita di strada, dei sobborghi abbandonati e al mondo della droga. I testi sono dei messaggi chiari e diretti, marcando il fatto che la tossicodipendenza, è nella società odierna, l'altra faccia della disoccupazione.
 
Alcune scene sono raccontate in maniera cruda. Inquadrature strette su braccia, vene e siringhe, meglio non mostrarle se non sono destinate a rimanere nella storia.
C'è un po' di carenza filmica nelle riprese, con percezione amatoriale. Come per i dialoghi, sono grezzi e comuni, tutti i personaggi ironizzano con battute romanesche, espresse in gergo giovane e di strada. 
Forse al cinema è più bello vedere qualcosa di nuovo piuttosto che ciò che si sa già o qualcosa che già si sa ma raccontato come nessuno mai lo racconterebbe.
 
Francesca Savoia

Mashrome FilmFest: una terza edizione con Peter Greenaway

Sabato 24 Maggio 2014 11:40 Pubblicato in News
 
Dal 3 al 6 Giugno 2014, a Roma presso il Teatro dell’Orologio con la serata conclusiva all'Auditorium dell’Ara Pacis, avrà luogo la terza edizione del Mashrome Film Fest (MRFF). La manifestazione internazionale, unica in Italia, interamente dedicata al mashup e, più in generale, al cinema sperimentale è fondata e diretta da Mariangela Matarozzo e Alessandra Lo Russo. Quattro giorni di full immersion in quel mondo del cinema e non solo che ha fatto del remix, oltre che della sperimentazione, il proprio punto di curiosità e di forza. Numerosi gli ospiti da tutto il mondo, primo fra tutti Peter Greenaway che sarà protagonista di un incontro il 6 giugno all’Auditorium dell’Ara Pacis. Il 6 giugno in programma anche la Cerimonia di Premiazione; ospiti i Pollock Project, un ensemble art-jazz fondato da Marco Testoni che ha fatto del mashup e del rapporto con l’audiovisuale la propria cifra stilistica. Fra i film in programma Le Grant (categoria music) di Luca Lucchesi prodotto dalla Wenders Music del celeberrimo regista tedesco Wim Wenders; e Isaac (categoria Feature) di Federico Tocchella con la fotografia di Daniele Ciprì.
 
 
 
Oltre 62 i Paesi che hanno partecipato alla selezione con oltre 1100 film inviati da tutto il Mondo, fra i quali ne sono stati selezionati 120 inseriti in concorso. Il premio per i vincitori sarà la Distribuzione dei film in collaborazione con Ownair. Fra le novità, la partecipazione per la prima volta dell’Africa con una webseries dal Kenya e la partecipazione, significativa anche se in piccoli numeri, dell’Australia. Sempre significativa la presenza dell’Europa che, in testa Germania, Penisola Iberica, Regno Unito, Paesi Bassi, Paesi Scandinavi e Francia, raggiunge oltre la metà dei film iscritti. E mentre l’Estremo Oriente è presente con oltre il 6% dei lavori, in particolare con la Corea del Sud, il Medio Oriente ha a sua volta una significativa presenza con oltre il 5% delle opere fra Turchia, Israele, Egitto, Iran e Iraq. Si attestano entrambe su oltre il 6% America Latina, con un’importante presenza del Brasile, e Stati Uniti.
In programma, oltre alla visione dei film: masterclass, incontri con i registi, installazioni e omaggi ad alcuni grandi.
 
Maggiori informazioni consultando il sito www.mashrome.org 
 

Le Meraviglie

Sabato 24 Maggio 2014 10:58 Pubblicato in Recensioni
Nel celebre mito della caverna di Platone, il filosofo greco immagina degli uomini chiusi fin dalla nascita in una caverna sotterranea, incatenati in modo da vedere solo il fondo della loro prigione. Dietro di loro brilla alta e lontana la luce di un enorme fuoco e, tra la luce e i prigionieri, è stato eretto un muro che corre lungo una strada rialzata. Su questa strada passano delle persone che trasportano degli oggetti di forme diverse. Le forme proiettano le proprie ombre sul fondo della caverna e i prigionieri, non avendo mai visto in vita loro gli oggetti reali, credono meravigliati che le ombre proiettate siano gli oggetti stessi.
Questo è quello che succede a Gelsomina (Maria Alexandra Lungu), adolescente introversa, relegata dal padre Wolfgang (Sam Louwyck), apicoltore autoritario e possessivo, alla vita contadina. Le ombre che Gelsomina vede proiettate sul fondo della sua caverna sono le promesse illusorie della televisione privata. Senz’altro un’idealizzazione estremamente provinciale dell’Italia degli anni ‘90 (periodo di ambientazione del film), un’ombra, appunto, rappresentata  dal personaggio di Milly Catena (Monica Bellucci), celestiale bellezza di una tv locale, e dalle canzonette di Ambra Angiolini a Non è la Rai. Primogenita di cinque figlie femmine, Gelsomina è prigioniera di un regime patriarcale, al quale sembrano passivamente rassegnate anche la madre Angelica (Alba Rohrwacher), donna affettuosa ma arrendevole, e la zia Cocò (Sabine Timoteo). 
La loro routine è compromessa da un concorso televisivo per gli agricoltori del posto e dall’arrivo di Martin, quattordicenne tedesco con precedenti penali che deve seguire un programma di reinserimento. 
Con tocco delicato e sentito coinvolgimento Alice Rohrwacher racconta i primi turbamenti di un’età di mezzo, incorniciandoli all’interno di un panorama non ben specificato (probabilmente nel viterbese, fra Lazio e Umbria) e una dimensione familiare bucolica e contrappuntistica, in cui si parla italiano, tedesco e francese.
Le meraviglie non è certo il primo trattato cinematografico sul mito della caverna e sicuramente neanche il più originale; il paragone con il surreale Kynodontas (anch’esso presentato a Cannes nel 2009 e vincitore della sezione Un Certain Regard), nasce spontaneo, ma muore subito, trattandosi di due film caratterizzati da stili e ambientazioni totalmente opposte. La Rorhwacher sembra più vicina a Truffaut e al suo modo di rappresentare la giovinezza, piuttosto che al greco Lanthimos.
A conferire ulteriore genuinità e un’identità propria al film è anche la profondità di alcuni dei personaggi; una profondità che si coglie gradualmente e in piccoli dettagli della mise en scène. Con lo scorrere del film scopriamo, ad esempio, in Wolfgang un personaggio fragile, ex figlio dei fiori che vaneggia di un imminente fine del mondo in diretta tv (ma viene interrotto dalla presentatrice Bellucci), le cui stesse paranoie lo hanno spinto probabilmente alla condizione di isolamento/morte sociale che impone all’intera famiglia. 
Le ambizioni provinciali, così inconsapevolmente miserabili, che Gelsomina nutre per il concorso televisivo, andranno sfumate, perché, anche in questa dimensione, così apparentemente estraniata, a vincere è sempre il macchiettistico piacione e prevaricatore. 
Seguono i tentativi nevrotici (e patetici) di zia Cocò per aiutare Gelsomina a scoprire la sua femminilità repressa, fino al volto stanco di Monica Bellucci nella sua ultima inquadratura, che si toglie la parrucca argentata e rompe l’incanto, mostrando semplicemente la donna che se ne celava sotto. Anche chi per anni l’avrà considerata un’attrice mediocre, non potrà fare a meno di notare, in quel suo ultimo primo piano, l’espressiva rassegnazione di cui è pregna ogni singola ruga del suo volto. Il tutto si conclude in un finale criptico, che mostra la casa di famiglia improvvisamente disabitata, come se anche i protagonisti stessi fossero sempre stati delle ombre, o il ricordo di qualcosa.
Tutte piccole cose fanno de Le meraviglie un grande film, meritevole dei 12 minuti di applausi al Festival di Cannes.
 
Angelo Santini

Situazione

Martedì 20 Maggio 2014 11:08 Pubblicato in Recensioni

Il grigiore della vita quotidiana spinge un gruppo di ragazzi della provincia pugliese a organizzare rave legali della durata di un intero weekend, nelle località rurali salentine. Siamo agli inizi del 2000 e queste feste, le FarFly (note anche come Feste delle Farfalle), diventano, di anno in anno, un vero e proprio evento di massa. Il regista Alessandro Piva, autore di spicco dell'underground pugliese con i cult LaCapaGira e Mio Cognato, dopo il noir romano Henry, torna nella sua regione natia, alla quale si rivela indissolubilmente legato, e racconta il percorso evolutivo di questo gruppo di amici nell'arco di dieci anni. Nella prima parte del film, ambientata nel 2002, Piva mostra come i protagonisti vogliano superare il concetto tradizionale e conformista di discoteca e la conseguente commercializzazione del divertimento, in favore di un'esperienza più genuina. Dieci anni dopo, nonostante i figli e qualche capello bianco, l'amore per la musica elettronica e quel desiderio di aggregazione sono rimasti invariati, tanto da trasformare le FarFly in un appuntamento fisso dell’estate pugliese, per giovani provenienti da tutta Italia.

Dopo Vive le Rock, il filo conduttore del terzo film presentato al Road to Ruins Festival torna ad essere il “corpo”, inteso come mezzo di espressione fondamentale. Quei corpi estraniati in balli frenetici e spesso sgraziati, di cui sono pregne le inquadrature di Situazione, sembrano essere l'unico mezzo dei protagonisti per evadere da una quotidianità logorante. 
Piva tenta l’indagine antropologica avvalendosi di un’estetica consapevolmente bruta, amatoriale, a tratti fastidiosa, degna forse del tipico reportage televisivo sulla movida estiva, ma coerente con la materia rappresentata. 
I frammenti più interessanti del film sono senza dubbio quelli in cui viene a galla il legame fra la cultura popolare tradizionale e i cosiddetti “danzatori della notte”, in un singolare confronto fra sacro e profano; i pregiudizi dei benpensanti, il rapporto con i contadini di Torre Regina, dove hanno luogo le feste, e il parallelismo con la via crucis, in termini di fenomeni di aggregazione collettiva. Il carattere rituale delle FarFly le rende, in effetti, un corrispettivo pagano delle vecchie feste patronali, quelle dei nostri nonni, caratterizzate da pizziche e mazzurke varie. 
Situazione non raggiunge purtroppo le vette del commovente documentario Pasta Nera, né quelle del sopracitato LaCapaGira, ritratto della piccola malavita barese, ma forse non è tanto questo il suo scopo. Un Piva, quindi, meno brillante del solito, ma sempre consapevole delle sue scelte stilistiche e coerente con se stesso. 
Nel frattempo si è conclusa la post-produzione del suo ultimo film, I milionari, storia dell’ex luogotenente di uno dei boss più importanti della camorra napoletana tra gli anni '80 e '90. Adattamento dell’omonimo libro scritto dal giudice Cannavale e Giacomo Gensini, il film sarà distribuito da Teodora nei prossimi mesi, mentre, per quanto riguarda Situazione, dovremmo accontentarci di singole apparizioni in giro per festival italiani. 
 
Angelo Santini