"Io sono ancora qui" è un affresco familiare nel Brasile degli anni bui della dittatura militare. Prima della rivoluzione del 1964 Rubens Paiva era un deputato laburista e aveva tutto quello che un uomo perbene può desiderare per essere felice e condurre un'esistenza appagata. Un lavoro impegnato, una moglie innamorata e complice e cinque splendidi figli che portano allegria e confusione in una bella villa arredata con gusto e tenuta con ordine. Una casa sempre aperta ad amici con cui trascorrere il tempo fra conversazioni serie ma anche tanti momenti conviviali e spensierati. Il pericolo però è appena fuori dalla porta e si fa sempre più aggressivo. È minaccioso. Intimorisce. Sembra poter rivolgere i suoi strali sulla figlia maggiore Veronica che simpatizza per i movimenti studenteschi antigovernativi avversi al Regime.
L' occasione per toglierla da un pericolo che potrebbe lambirla fino ad inghiottirla giunge propizio da una famiglia amica che prende la decisione di trasferirsi a Londra e non esita ad estendere l' invito a seguirli. Loro non accetteranno ma lasceranno che la loro primogenita si allontani in cerca di un futuro migliore.
Tutto sembra tornare ad una pseudo normalità anche se soffiano venti preoccupanti. Si susseguono nel Paese rapimenti di intellettuali e sequestri di ambasciatori che vengono utilizzati come merce di scambio a fini politici.
Un giorno che sembra essere come gli altri fra l' allegria dei ragazzi che vivono di fronte alla spiaggia e si alternano fra giochi e rientri repentini al solo scopo di mangiare qualcosa velocemente e cambiarsi per poi tornare di nuovo fuori irrompe la violenza. Vile, bieca.
Il padre viene arrestato e portato in caserma per riferire e chiarire avvenimenti che lo riguardano. Poco dopo la stessa sorte verrà subita dalla moglie e dalla secondogenita. Se per le due donne l'incubo fortunatamente giunge ad una conclusione veloce il padre e marito amorevole, invece, non farà mai più ritorno. Il regista Salles ci racconta una delle peggiori pagine della Storia del Paese carioca ma, a differenza di molte altre pellicole, sceglie di raccontare il dramma dal punto di vista di chi resta, di coloro i quali devono affrontare una perdita ma devono anche farsi forza per andare avanti. La madre Eunice lo deve ai suoi cinque figli. Si impone di rimanere lucida e razionale, cerca con ogni mezzo a sua disposizione di proteggere chi è stato investito da un dolore troppo grande senza averne colpe e senza poter sapere le reali motivazioni che hanno determinato questa situazione.
Per questo racconto di resistenza, pacifico e composto, il regista si avvale di un' attrice immensa che da metà pellicola in avanti porta sulle sue minute spalle tutto il peso della narrazione.
Intensa e perfettamente in parte nel rappresentare la dignità e la compostezza di chi non può permettersi il lusso di piegarsi al dolore ma deve imporsi di sorridere e cercare di regalare alla propria famiglia, sebbene mutilata e umiliata, una parvenza di normalità conservando un po' dell'armonia che regnava prima che tutto precipitasse.
Il film è tratto dal romanzo omonimo autobiografico di Marcelo Rubens Paiva ultimogenito della coppia protagonista della pellicola e, al tempo dei fatti, solo un bambino che viveva felice in un gineceo di sorelle più grandi.
Con una rigorosa ricostruzione degli avvenimenti, senza mai calcare la mano, il regista restituisce allo spettatore una sincera e profonda commozione.
La regia appare misurata, senza eccessi. Non esagera nel mostrare ma semmai fa intuire senza esporre troppo. Non racconta mai più del necessario.
La fotografia firmata da Adrian Teijido restituisce la bellezza naturale di un luogo baciato dal sole, ne cattura tutta la desolazione quando l' ambientazione è la claustrofobica cella di detenzione o l' ufficio tetro e buio dove si svolge l' interrogatorio sommario, sottolinea la nostalgia e la sofferenza quando si è costretti ad abbandonare la casa familiare per iniziare una nuova vita che avrà colori diversi.
Il commiato affidato ad un'altra attrice cara al regista suggella con un tocco di tenerezza quello che rimane di una straordinaria storia che assurge a simbolo di migliaia di altre storie simili e uniche in un Paese che ha costretto interi nuclei familiari a fare i conti con una pagina cupa della Storia che ha distrutto vite, cambiato destini, sparso immenso e gratuito dolore ed è rimasta nella memoria collettiva come una ferita che non si è mai rimarginata del tutto ma rimane ancora oggi pulsante e suppurante.
Presentato in concorso all' ultima mostra internazionale cinematografica di Venezia il film si è aggiudicato, meritatamente, il premio per la migliore sceneggiatura. L' attrice protagonista non è stata insignita della prestigiosa Coppa Volpi ma è riuscita a conquistare il Golden Globe e questo risultato è il giusto coronamento di un lavoro attoriale superbo.
Virna Castiglioni