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Fino alle montagne

Giovedì 29 Maggio 2025 11:25 Pubblicato in Recensioni

Mathyas è un ragazzo giovane che non vuole rientrare nel suo Paese, il Canada, ma cerca un modo per poter allungare la sua vacanza nel sud della Francia. Vorrebbe dedicarsi ad un'attività che lo faccia sentire utile, indispensabile e non un semplice ingranaggio in una macchina per fare soldi. Si rivolge agli allevatori della zona per proporsi come pastore anche se non ha mai svolto questa professione e non ha idea di come si faccia. L' unica sua certezza è quella di non voler rientrare in ufficio ad occuparsi di marketing pubblicitario. Un lavoro che lui stesso afferma non essere adatto a persone intelligenti. Non ha nemmeno i documenti per restare ma non si fa scoraggiare dalla burocrazia. È determinato e risoluto ed è sicuro che troverà qualcosa che faccia al caso suo. In questa ricerca un po' naif incontra una giovane ragazza proprio all' ufficio immigrazione al quale si rivolge per avere contezza di cosa gli serva ma anche di che cosa gli manchi per iniziare la sua ricerca. Anche Elise, sebbene integrata e anche contenta della sua routine professionale, cova in sè il desiderio di sparigliare le carte e intraprendere una nuova partita con la vita. Elise agli occhi di Mathyas ha il giusto quid che la fa sembrare la compagna ideale per i suoi progetti. Se una prima esperienza è fallimentare, una nuova proposta fa risorgere le speranze di diventare pastori a tutti gli effetti. Un film delicato e poetico. Un inno di speranza che si rivolge a tutti coloro che cercano la propria strada, che vogliono cambiare orizzonte e si prodigano per raggiungere un angolo di terra dove costruire la propria fortuna per stare in pace e ammirare il cielo azzurro stesi su un prato verde.

Il film è un tripudio per gli occhi che spaziano fra scenari di montagna incantati. La fotografia di Vincent Gonneville lascia stupefatti. La Storia però sembra poco realistica. Tutto troppo facile, troppo poco sfidante. La ricerca è breve. Il lavoro anche se è improvvisato consente di riuscire a farsi assumere. Si viene mandati via però si trova subito qualcosa d'altro. Non mancano i problemi e la vita in altura viene presentata per quella che è, senza sconti, eppure allo spettatore ritorna un'immagine fin troppo romantica che non collima affatto con la realtà dei fatti di chi ha la responsabilità dei capi da accudire ed è costantemente minacciato dalla Natura stessa con le sue intemperanze climatiche come dagli altri animali che popolano le montagne e possono costituire una grave minaccia. Sembra tutto una favola. Una bella favola. E come tutte le favole che si rispettano anche questa avrà il suo lieto fine, apparentemente.

Virna Castiglioni

Christpiracy

Lunedì 14 Aprile 2025 17:32 Pubblicato in Recensioni
Esiste un modo spirituale di uccidere? Possiamo utilizzare il cibo che abbiamo procurato con l’uccisione di esseri viventi senzienti, senza colpa, se lo facciamo in modo etico? Gesù come avrebbe ucciso un animale? Da questi quesiti nasce il nuovo capitolo d’inchiesta del regista Kip Andersen già autore di altri documentari che hanno indagato i legami fra uso di carne e salute e le commistioni e gli interessi fra industrie della carne e Big Pharma. In Christspiracy, Andersen con l’aiuto di Waters, indaga i testi sacri, la Bibbia, i Vangeli apocrifi ma anche i rotoli del Mar Morto per cercare di dare una risposta a domande così difficili e profonde. Grazie a ricerche dettagliate apprendiamo che la famosa frase attribuita a Gesù relativamente al genere umano di essere superiore e signore di tutti gli esseri sulla terra e nel mare non corrisponde al giusto e al vero. La parola “dominus” non trova corrispondenza con alcun termine ebraico nel significato di padronanza. L’uomo non può fare ciò che vuole perché non è superiore a nessuno degli altri esseri viventi creati da Dio.  Apprendiamo anche che la famosa cacciata dal tempio dei mercanti non si riferisce alla condanna per fare di un luogo sacro uno spazio dedito al commercio e al mercimonio. Si fa menzione invece della pratica diffusa tra i sacerdoti di compiere sacrifici animali. Gesù, che abbiamo sempre pensato essere di Nazareth, non apparteneva ad una comunità che porta questo nome perché in nessuna mappa è presente questo luogo. Fa invece riferimento al fatto che Gesù apparteneva ad un gruppo ribelle che era contrario al sacrificio animale. I nazarei e quindi Gesù è indicato come il Nazareno. Il documentario affronta anche il delicato tema della macellazione. Sappiamo che in due principali religioni il consumo di carne è consentito a patto che si segua un protocollo preciso di macellazione dell’animale. Nella cultura ebraica la metodologia kosher, in quella islamica halal. In entrambi i metodi, con lievi differenze di posizione, l’animale subisce un atto violento che lo porterà alla morte. Non esiste un protocollo da seguire che sia indolore per l’animale e ne sono testimonianza le lacrime che versano questi capi quando sono portati al macello. Una inutile e barbara sofferenza, evitabile.  L’uomo non avrebbe bisogno di cibo animale per vivere.  Potrebbe tranquillamente essere vegetariano e cibarsi di semi, piante, radici, frutta senza infliggere morte e sofferenza ad altri esseri viventi e senzienti. Allora quando è stato possibile questo switch che ha comportato l’affermazione di una cultura di morte? Questa volontà di controllo e imposizione parte da molto lontano, si perde nella notte dei tempi ma ha contribuito a perpetrare un modo distorto di intendere il potere. Non un mezzo per vivere in armonia ma uno strumento per sottomettere qualcun altro. Lo stesso principio che ha pervaso la cultura nazista nel disegno scellerato di oppressione di tutte le minoranze, la cultura machista per cui le donne sono inferiori e se ne può fare l’uso che se ne vuole, la cultura xenofoba, per citarne i principali esempi. Neppure il fatto che non siamo noi stessi a procurare direttamente la morte dell’animale può scagionarci dall’essere colpelvoli, assolti per non aver commesso il fatto, perché ne siamo complici, non del tutto innocenti. Questo documentario, interessante nello svelare molto della religione, ci mostra anche come nei secoli si sia cercato di tenere nascosto il più possibile questo aspetto controverso. Diventa quindi un appello ad unirsi a questo movimento di liberazione che ha come prima tappa quello di prendere coscienza di una pratica efferata e poi interroga sulla legittimità di un comportamento che è stato accettato, interiorizzato ma è il risultato di una manipolazione, di un inganno e lo spoglia del mantello di spiritualità con il quale è stato avvolto per due secoli, facendolo sembrare un atto normale, addirittura indicato e consigliato.
 
Virna Castiglioni
 

30 notti con il mio ex

Lunedì 14 Aprile 2025 17:26 Pubblicato in Recensioni

Terry è sempre stata chiamata così perché non è mai cresciuta del tutto. Un po' naif, infantile, ingenua e leggera ma buona e gentile. Dice sempre quello che pensa, senza filtri, non preoccupandosi delle conseguenze. Trasparente come un vetro dal quale guarda gli altri intorno a sé senza sentirsi mai completamente accettata e amata per quello che è.  Si trova da tempo in una comunità psichiatrica ma il suo percorso terapeutico prevede un ritorno in famiglia per un periodo di prova di trenta giorni. Ad attenderla l' ex marito Bruno, per nulla desideroso di tornare a convivere con una mina vagante, soprattutto ora che sembra aver trovato un equilibrio con la figlia adolescente e alle prese con un amore fresco che sta crescendo. Sul lavoro c'è qualche problema ma lui è il titolare e crede di potersi fidare ciecamente dei suoi collaboratori. La sua attività è un mezzo per avere stabilità e benessere. Il sogno vero  di gioventù era però su un tappeto verde a correre dietro ad un pallone ma, si sa, la vita non va mai come ce la siamo immaginata. Il film purtroppo è un lungo susseguirsi di luoghi comuni, di battute prevedibili, di situazioni scontate, di snodi narrativi banali che non rendono un buon favore al tema della malattia mentale e nemmeno hanno il vantaggio di alleggerire e sdrammatizzare situazioni che finiscono per sembrare grottesche, forzate. Il cast si avvale di una Micaela Ramazzotti che già si era cimentata in passato in un ruolo borderline con ben altri risultati. Qui risulta una caricatura appesantita da clichés che non rendono un buon servizio al personaggio che interpreta. Edoardo Leo decisamente più convincente anche se la sua recitazione appare trattenuta imbrigliata in una sceneggiatura che non risulta sempre naturale e credibile. Il film viene anche ulteriormente allungato da vicende parallele come lo sgambetto professionale che subisce il protagonista al lavoro che rimane un momento fra i tanti liquidato in due scene che non aggiungono nulla ma tolgono semmai un po' il focus sulla relazione principale.  Anche il rapporto con la figlia è intriso di elementi scontati, poco originali, già fin troppo visti e indagati.

Un racconto che vuole mantenersi leggero, cercare di strappare più di un sorriso ma che finisce per diventare un po' indelicato relativamente al tema della malattia mentale perché viene fatta passare il più delle volte per una stranezza, un vezzo, qualcosa di incidentale che può essere curato solo dall' amore quando invece necessita di un approccio terapeutico più incisivo e decisamente meno all' acqua di rosa. 

Virna Castiglioni

Mauro Corona - La mia vita finché capita.

Domenica 04 Maggio 2025 17:10 Pubblicato in Recensioni

"Mauro Corona è uomo iniquo e perverso, non pregate per lui, è tempo perso"

Questa la frase da monito per lo spettatore in apertura film.

Mauro Corona, intimo, privato, lontano dall'immagine restituita dalla TV generalista dove appare spesso sopra le righe. In questo film documentario si cerca di raccontare la sua storia privata molto più di quella pubblica. Mauro Corona riflette sul tempo che è passato, sul ricordo, sulla vita che è per tutti un pezzo di legno da forgiare usando la sgorbia dell'esperienza non avendone paura ma domando questo sentimento e cercando di trarne coraggio. Un racconto che si intreccia anche con la storia di Erto, Casso e Longarone e quella terribile tragedia insabbiata, nascosta, taciuta per troppo tempo, che è stata la diga del Vajont. Un posto magico, incantato, incastonato come diamante tra le splendide montagne dolomitiche. Le alpi friulane che sanno essere ricche di suggestione ma sono anche aspre, impervie e selvagge. Mauro Corona si confronta con amici.  Tra i tanti, tre sono protagonisti di questo racconto biografico. In ordine di apparizione Piero Pelù, Erri De Luca e Van De Sfroos. Accolti nella sua Erto, fra le sue montagne, nei luoghi che conosce come le sue tasche e che porta nel cuore anche quando se ne allontana. Nel suo laboratorio-studio di sculture in legno di cirmolo che profuma e suona una melodia malinconica e seducente. Mauro Corona scalatore, scrittore e scultore ma soprattutto uomo segnato da dispiaceri, rimorsi, rimpianti. Figlio, padre, amico, fratello. Un uomo che ha vissuto senza carezze ma ha imparato che anche le sberle lo possono diventare cambiando atteggiamento e utilizzando un'arma potentissima quale è il perdono. Il documentario ha un montaggio efficace che alterna momenti più intimi e raccolti a parti più dinamiche dove si possono ammirare i meravigliosi spazi aperti di una natura che ha ripreso il suo posto dopo la tragedia della frana che ha cancellato e cambiato per sempre la conformazione del paesaggio. Luoghi dove si respira ancora il ricordo di tante, troppe anime, sacrificate in nome di un potere effimero e del vil denaro.

Un film che non vuole né incensare né condannare ma semplicemente raccontare una storia di vita, al contempo comune e straordinaria, come lo sono tutte le storie di vite umane al di là dei riconoscimenti, dei premi e dei successi che, come disse Rigoni Stern in punto di morte, sono solo "cose da niente".

Quello che davvero importa lasciare dopo di sé, come sottolinea Erri De Luca, è solo una buona reputazione. Tutto il resto sarà dimenticato come è giusto che sia. Per ricominciare a cercare nuove strade e nuovi sentieri. Il documentario si conclude con una nota ironica più aderente allo stile del personaggio televisivo che si è  costruito nel tempo per ricordare quanto la vita sia pesante da portare se non ci si impegna a renderla più leggera con ironia. 

Anche con un buon vino, una passeggiata con un amico, una coccola al proprio animale domestico ma soprattutto facendo quello che ci fa stare bene senza fare del male agli altri. Grazie Corona per questi semplici consigli ma che non riusciamo troppe volte a mettere in pratica sopraffatti da distrazioni superficiali ma soprattutto convinti di non averne bisogno perché ritenuti inutili o superflui. 

Un film semplice ma che riserva qualche gradita sorpresa fino alla fine. Con un accompagnamento musicale dolce che fa da contraltare alla prosaicità di certe affermazioni e a qualche parolaccia che ogni tanto scappa.