E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
"Strange darling" è un ottimo horror che si avvale di una fotografia eccellente. Giovanni Ribisi ne è la firma e ci regala immagini che ricordano molto gli anni settanta. Molto colorate e accattivanti. Gli attori protagonisti sono le vere colonne portanti di un racconto semplice ma che si fa via via sempre più intrigante. The electrical Lady è l'incarnazione del male travestito da angelo biondo. È delicata. Ispira tenerezza. È uno scricciolo, ha un corpo esile che ricorda quello di una bambina eppure sa essere furia, belva, malvagia, crudele. Quando entra in "modalità sopravvivenza" può uccidere chiunque le capiti a tiro e interferisca con la sua intenzione di sconfiggere il demone che vede davanti a sé. Compie omicidi con ogni mezzo possibile e senza mostrare il minimo ripensamento o essere sfiorata dalla minima esitazione.
Il film si avvale di un montaggio che rende tutto più avvincente. Dona alla pellicola il giusto ritmo. Senza lasciare tempi morti. Purtroppo il gioco di tenere sulla corda lo spettatore dura lo spazio di tre capitoli. Il film è suddiviso in 6 parti che vengono presentate allo spettatore in una sequenza non lineare e spezzettano la storia per traghettarla ad un epilogo finale che è anche la parte meno riuscita del film nel senso che diventa quasi pleonastica. Un di più che non lascia spazio ad altre interpretazioni. All'inizio siamo travolti dalla corsa sfrenata di una giovane ragazza che fugge terrorizzata da qualcosa o qualcuno. Nel breve spazio di qualche sequenza lo spettatore più avvezzo è già indotto a pensare che lo schema non può essere così banale. La ragazza non può essere la vittima e, per il resto della pellicola, rimanga solo la sorpresa di conoscere l'aggressore o la situazione spaventosa che ha determinato l'inizio della corsa disperata. Eppure, se così fosse, il film funzionerebbe lo stesso. La sceneggiatura però vuole sparigliare le carte e fare riflettere sulla situazione opposta.
Deve per forza esserci qualcosa di diverso dallo schema classico (aggressore uomo serial killer che miete vittime fra fanciulle sexy e bionde). Non può essere tutto cosi semplice.
L' uso del bianco e nero per presentare l'antefatto sembra proporre qualcosa di anacronistico che si perde nella notte dei tempi. È quasi utopico ai giorni nostri, non è quasi più possibile nella nostra contemporaneità, assistere ad un incontro occasionale fra due persone che non hanno problemi mentali ma cercano solo un modo per divertirsi insieme. Sotto sotto ci deve essere qualcosa di raccapricciante. Non basta scoprire che i due vogliono giocare insieme dei ruoli, che la donna sia la padrona che comandi, che il sesso sia solo l'esca per accalappiare la giusta preda. Non basta più solo la violenza sessuale. È il preliminare a qualcosa di ben peggiore.
La storia non è un granché, la trama è sottile come carta velina. L' intuizione geniale è il ribaltamento di ruoli e lo scambio fra vittima e carnefice che non segue le logiche comuni. In questo caso l'uomo che è anche un poliziotto (sebbene non troppo convenzionale) non è il cattivo della situazione. Per una volta il maschio non è l' aggressore ma la vittima.
Il film gioca gran parte del suo fascino nel ribaltare i luoghi comuni, nel prendersi gioco del preconcetto, del cliché. La pellicola è sporca, cattiva, ruvida e cola sangue come se non ci fosse mai un argine che possa fare da sponda. Non si contano le scene splatter portate alle estreme conseguenze. Un iperbole di situazioni che portano ad un escalation finale cruenta al quale fa seguito una momentanea stasi. Sembra, ma è solo una breve illusione, di poter essere arrivati alla fine dell' incubo e invece la scrittura ha ancora in serbo qualche cartuccia anche se è solo un colpa di coda che non supera in sorpresa quello che è appena avvenuto.
Il film deve la sua forza ai continui e ben congegnati twist narrativi che sanno cogliere sempre in contropiede. Le scelte registiche propinano la giusta dose di adrenalina e riescono nell'intento di non far calare mai troppo la tensione.
Virna Castiglioni
Giuseppe Pellizza da Volpedo, comune agricolo nei pressi di Alessandria, fu un'artista sensibile, ispirato, autentico, umile.
Pur nell' immensità della sua bravura innata, perfezionata da studi intrapresi già da giovanissimo, presso le migliori e più quotate accademie nazionali. Milano, Roma, Firenze e infine Bergamo lo videro studente modello e appassionato.
Gli studi e l'esperienza accumulata lo fecero tornare nella sua cittadina a lavorare alacremente nel suo studio per tutta la sua breve vita. Decise, a soli 39 anni, e dopo aver subito la perdita dell'amata moglie, di un figlio e del padre di togliersi la vita.
Giuseppe Pellizza è ricordato dai posteri per il suo meraviglioso dipinto "Il Quarto Stato" che inaugurò il Museo del Novecento di Milano grazie ad un prestito da un altro museo meneghino: La Galleria d'arte moderna.
Dobbiamo l' acquisto di questa opera alla felice intuizione del primo sindaco socialista della storia amministrativa del Comune di Milano. Emilio Caldara ne appoggiò l'acquisto con il supporto del Corriere della Sera.
Sebbene, dopo l'avvento del Fascismo fu relegato negli scantinati museali, quando rivenne esposto la sua fama e importanza crebbero enormemente. Fu opera che seppe fornire spunti e ispirazioni contaminando l'arte cinematografica.
L'autore di questa tela manifesto sposta gli ultimi, i dimenticati per metterli in primo piano a farne bandiera orgogliosa di chi non si piega ma, con forza e determinazione, si batte per affermare i diritti di tutti.
Opera destinata, nelle intenzioni deluse dell' autore, all' Esposizione Universale di Torino del 1902 non venne acquistata dalla famiglia reale, per la tematica sociale ivi rappresentata.
Pellizza fu soprattutto un pittore fine paessagista, immerso nella natura e capace di riprodurla efficacemente, passando con disinvoltura dalla tecnica verista a quella divisionista. Abile nello scegliere i colori primari, amalgamarmi a quelli complementari per imprimere il massimo della luce sulla tela.
Il documentario di Francesco Fei è un racconto suggestivo che intreccia vita privata e vita artistica di un uomo che seppe fare del suo sogno un mestiere. Appoggiato dai suoi genitori che non ostacolarono mai la sua indole, sebbene fosse l' unico erede maschio della famiglia.
Con la partecipazione di Fabrizio Bentivoglio, ispirata voce narrante, lo spettatore è portato alla conoscenza di un'artista sensibile e profondo che ha impresso sulle tele tutto il suo grande amore per la natura, la vita agreste, la sofferenza umana, il lavoro e ha saputo imprimere ritratti di commovente bellezza e trasporto a partire dai suoi amati genitori rappresentati a grandezza naturale anche per omaggiarli della loro statura morale.
Virna Castiglioni
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal primo fortunatissimo esordio al quale hanno fatto seguito vari capitoli successivi. Quest' ultimo si conferma commedia deliziosa per passare due ore di buon umore.
Bridget, adorabile Bridget, è vedova da 4 anni dopo che il marito e padre dei suoi due figli, Mr Darcy, ha perso la vita su una mina antiuomo in Sudan durante una campagna umanitaria alla quale ha preso parte. È ora di tornare a vivere però. Casualmente al parco, in compagnia dei due figli, incontra un'aitante ragazzo più giovane di lei e, dopo le inevitabili resistenze dovute all'età, si lascia andare per vivere ancora quei palpiti d'amore e tornare a sentire le farfalle nello stomaco. Non ci sono più pigiami da indossare sempre e ovunque ma ora anche vestiti più carini che le consentono di sentirsi ancora giovane e desiderabile. Questa simpatica "eroina del quotidiano", un po' goffa ma tanto simile alla maggior parte delle donne lavoratrici mamme del pianeta terra, ci ha abituato a peripezie amorose che anche questa volta non potevano concludersi con un happy end così scontato e frettoloso. Prima della fine dovrà perdere il suo nuovo principe azzurro, confrontarsi con la nuova avvenente baby sitter giovanissima stylosa ma sorprendentemente efficiente, riuscire a conciliare la ritrovata attività lavorativa con la famiglia e i figli, essere la spalla per i suoi anziani genitori ma anche la complice insostituibile del suo storico amante. Sempre circondata dal nugolo ristretto di amici che le fanno quadrato intorno ma la spronano a ricominciare a vivere davvero.
Un gran bel da fare per questa adorabile pasticciona. Il film dosa, con grande precisione, parti comiche con momenti più intimi e raccolti. Si ride tanto ma sempre per buoni motivi senza per questo dimenticare, quando serve, una riflessione più profonda.
Se proprio si deve trovare un difetto può essere la ricerca insistente di un lieto fine. Il film avrebbe avuto senso anche senza per forza trovare un nuovo amore alla single più famosa della cinematografia mondiale.
D'altro canto, questo nuovo esilarante capitolo della vita imperfetta di una perfetta donna dei nostri tempi, si tinge tanto di rosa ed è congeniale per l'imminente periodo di San Valentino.
Virna Castiglioni