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Io sono ancora qui

Lunedì 27 Gennaio 2025 15:31 Pubblicato in Recensioni

"Io sono ancora qui" è un affresco familiare nel Brasile degli anni bui della dittatura militare. Prima della rivoluzione del 1964 Rubens Paiva era un deputato laburista e aveva tutto quello che un uomo perbene può desiderare per essere felice e condurre un'esistenza appagata. Un lavoro impegnato, una moglie innamorata e complice e cinque splendidi figli che portano allegria e confusione in una bella villa arredata con gusto e tenuta con ordine. Una casa sempre aperta ad amici con cui trascorrere il tempo fra conversazioni serie ma anche tanti momenti conviviali e spensierati. Il pericolo però è appena fuori dalla porta e si fa sempre più aggressivo. È minaccioso. Intimorisce. Sembra poter rivolgere i suoi strali sulla figlia maggiore Veronica che simpatizza per i movimenti studenteschi antigovernativi avversi al Regime.

L' occasione per toglierla da un pericolo che potrebbe lambirla fino ad inghiottirla giunge propizio da una famiglia amica che prende la decisione di trasferirsi a Londra e non esita ad estendere l' invito a seguirli. Loro non accetteranno ma lasceranno che la loro primogenita si allontani in cerca di un futuro migliore.

Tutto sembra tornare ad una pseudo normalità anche se soffiano venti preoccupanti. Si susseguono nel Paese rapimenti di intellettuali e sequestri di ambasciatori che vengono utilizzati come merce di scambio a fini politici. 

Un giorno che sembra essere come gli altri fra l' allegria dei ragazzi che vivono di fronte alla spiaggia e si alternano fra giochi e rientri repentini al solo scopo di mangiare qualcosa velocemente e cambiarsi per poi tornare di nuovo fuori irrompe la violenza. Vile, bieca. 

Il padre viene arrestato e portato in caserma per riferire e chiarire avvenimenti che lo riguardano. Poco dopo la stessa sorte verrà subita dalla moglie e dalla secondogenita. Se per le due donne l'incubo fortunatamente giunge ad una conclusione veloce il padre e marito amorevole, invece, non farà mai più ritorno. Il regista Salles ci racconta una delle peggiori pagine della Storia del Paese carioca ma, a differenza di molte altre pellicole, sceglie di raccontare il dramma dal punto di vista di chi resta, di coloro i quali devono affrontare una perdita ma devono anche farsi forza per andare avanti. La madre Eunice lo deve ai suoi cinque figli. Si impone di rimanere lucida e razionale, cerca con ogni mezzo a sua disposizione di proteggere chi è stato investito da un dolore troppo grande senza averne colpe e senza poter sapere le reali motivazioni che hanno determinato questa situazione.

Per questo racconto di resistenza, pacifico e composto, il regista si avvale di un' attrice immensa che da metà pellicola in avanti porta sulle sue minute spalle tutto il peso della narrazione. 

Intensa e perfettamente in parte nel rappresentare la dignità e la compostezza di chi non può permettersi il lusso di piegarsi al dolore ma deve imporsi di sorridere e cercare di regalare alla propria famiglia, sebbene mutilata e umiliata, una parvenza di normalità conservando un po' dell'armonia che regnava prima che tutto precipitasse. 

Il film è tratto dal romanzo omonimo autobiografico di Marcelo Rubens Paiva ultimogenito della coppia protagonista della pellicola e, al tempo dei fatti, solo un bambino che viveva felice in un gineceo di sorelle più grandi.

Con una rigorosa ricostruzione degli avvenimenti, senza mai calcare la mano, il regista restituisce allo spettatore una sincera e profonda commozione. 

La regia appare misurata, senza eccessi. Non esagera nel mostrare ma semmai fa intuire senza esporre troppo. Non racconta mai più del necessario. 

La fotografia firmata da Adrian Teijido restituisce la bellezza naturale di un luogo baciato dal sole, ne cattura tutta la desolazione quando l' ambientazione è la claustrofobica cella di detenzione o l' ufficio tetro e buio dove si svolge l' interrogatorio sommario, sottolinea la nostalgia e la sofferenza quando si è costretti ad abbandonare la casa familiare per iniziare una nuova vita che avrà colori diversi. 

Il commiato affidato ad un'altra attrice cara al regista suggella con un tocco di tenerezza quello che rimane di una straordinaria storia che assurge a simbolo di migliaia di altre storie simili e uniche in un Paese che ha costretto interi nuclei familiari a fare i conti con una pagina cupa della Storia che ha distrutto vite, cambiato destini, sparso immenso e gratuito dolore ed è rimasta nella memoria collettiva come una ferita che non si è mai rimarginata del tutto ma rimane ancora oggi pulsante e suppurante. 

Presentato in concorso all' ultima mostra internazionale cinematografica di Venezia il film si è aggiudicato, meritatamente, il premio per la migliore sceneggiatura. L' attrice protagonista non è stata insignita della prestigiosa Coppa Volpi ma è riuscita a conquistare il Golden Globe e questo risultato è il giusto coronamento di un lavoro attoriale superbo. 

Virna Castiglioni

 

Wolf Man

Giovedì 16 Gennaio 2025 15:24 Pubblicato in Recensioni
Il film sfrutta una serie di luoghi comuni tipici del genere al quale afferisce. L’ambientazione è una casa isolata al limitare del fitto bosco che rasserena e concilia durante il giorno ma può diventare inquietante e spettrale al calare della notte. Il male è fuori dalla porta, in agguato, sempre pronto ad attaccare.  La montagna che incombe è foriera di miti e leggende. Pur sforzandosi di introdurre qualche elemento di discontinuità rispetto all’originale racconto di licantropi non si riesce nell’operazione di trascinare lo spettatore in un vortice di sorpresa e stupore perché tutto avviene con molta prevedibilità. I momenti tensivi si sciolgono quasi sempre come ci si aspetta che debbano concludersi. Si assiste ad una lotta con il nemico che da esterno, estraneo si fa intimo e personale e chiama in causa la capacità di scindere tra affetti e istinto di sopravvivenza ma questo topos rimane in superficie.
 
Un horror puro che ha molti limiti a partire dalla storia che vede l’utilizzo massivo di elementi già indagati ed esplorati a sufficienza in pellicole anche di recente realizzazione. Un film che ripropone gli stessi schemi già visti e che perde quindi l’effetto straniante e avvincente delle prime volte e della sorpresa nel trovarsi di fronte a qualcosa di inaspettato e di originale.
 
Julia Garner sembra spaesata all’interno della pellicola e le sue espressioni di paura e terrore sono poco realistiche. Appare troppo enfatica, teatrale, forzata, facendo perdere quella naturalezza che è la cifra vincente della recitazione in questo tipo di pellicole.
 
Decisamente più convincente la performance attoriale del protagonista maschile Christopher Abbott che appare più disinvolto e calato nella parte. Da salvare senza ombra di dubbio tutte le scene in cui avviene progressivamente la trasformazione da umano ad animale che è ben documentata riuscendo a scandire in modo dettagliato le vari fasi a cui va incontro mantenendo un buon equilibrio fra aspetto fisico e quello più psicologico.
 
In generale un film che non apporta uno svecchiamento rispetto ai film datati riguardanti lo stesso argomento ma anzi ne sembra una copia sbiadita senza mordente.
 
Un film che si segue sperando fino all’ultimo di poter assistere ad un colpo di scena eclatante che riabiliti l’intera pellicola rimanendo purtroppo delusi e disillusi.
 
Una prova non superata fino in fondo pur mantenendo un livello ragguardevole per quanto concerne la fotografia, l’utilizzo degli effetti speciali incentrati sulla trasformazione da umano ad animale ma che avrebbe bisogno di esser revisionato per quanto concerne la sceneggiatura e l’utilizzo delle riprese di momenti topici della narrazione che risultano artefatti e poco incisivi rispetto a quanto sarebbe stato necessario per conseguire un buon risultato.
 
Virna Castiglioni

Oh Canada - I tradimenti

Giovedì 16 Gennaio 2025 15:17 Pubblicato in Recensioni
A distanza di oltre quarant’anni Paul Schrader e Richard Gere tornano a collaborare per portare sul grande schermo la biografia di Leonard “Leo” Fife, documentarista statunitense naturalizzato canadese. Tratto dal libro “i tradimenti” (Foregone) di Russell Banks il racconto è una lunga intervista che Fife in punto di morte e, assistito dall’ultima giovane moglie, concede a due dei suoi migliori ex alunni per svelare i segreti della sua vita facendo emergere verità tenute nascoste agli altri e un po' celate anche a se stesso.
Gere ha sempre la statura che lo ha consacrato attore di talento, il contraltare Job Elordi che interpreta lo stesso personaggio in età giovanile ha ancora una lunga strada da percorrere anche se il suo ricco potenziale è già evidente.
Il film non suscita particolari emozioni, si mantiene tiepido e quasi didascalico. Quello che emerge, con forza nell’impianto, è la padronanza del mezzo cinematografico da parte di un regista che sa di essere bravo e non perde occasione per mettere in mostra le sue doti di cineasta navigato.
Utilizzo di due formati di ripresa diversi: fullscreen e widescreen, uso sapiente di bianco e nero e colore, alternanza funzionale di primi piani e panoramiche, combinazione di realtà e finzione, presente infarcito di flashback ben raccordati.
Purtroppo non basta affidarsi totalmente alla tecnica e alla bravura degli interpreti scelti per costruire un racconto in grado di rimanere nel cuore e nella mente dello spettatore. Qui c’è molto mestiere ma molta poca anima e si arriva alla fine della proiezione senza esserne troppo dispiaciuti.
Il lungometraggio non ha la forza propulsiva affinché lo spettatore si possa immedesimare o quanto meno possa capire, forse anche giustificare le scelte compiute oppure semplicemente odiare per il modo disinvolto e per nulla rispettoso degli altri di condurre l’esistenza.
Per tutta la durata si viene investiti da una serie di fatti, di episodi, di circostanze, di avvenimenti che non sono però mai anche supportati dalla giusta dose di pathos. Per questo il racconto rimane forse fedele al vero ma risulta poco interessante, non memorabile, scivola nella mente che non rimane impressionata, colpita, non tocca le giuste corde del cuore e non interroga l’anima. Tutto si mantiene neutro con nessun momento di vera commozione, di vero patimento, di vicinanza o repulsione ad un uomo che si spoglia in punto di morte della maschera della rispettabilità.
Assistiamo alla registrazione di una confessione ma non siamo portati ad empatizzare e dopo poco siamo anche un po' annoiati dalle imprese di un uomo che codardamente riesce a farsi riformare dall’esercito americano, vorrebbe prendere parte alla rivoluzione castrista a Cuba ma non riesce ad andare oltre la Florida, diserta in Canada e nel frattempo vive, in modo libertino la sua vita sentimentale, non curante di fare del male a donne e ai figli che ne conseguono.
Acclamato e osannato nella vita pubblica la sua confessione prima di spirare è il rovescio della medaglia che cela il lato più vigliacco e superficiale dell’aver vissuto i rapporti umani fuggendo in continuazione dalle responsabilità inseguendo un sogno che mutava repentinamente e non gli lasciava mai il giusto tempo di prendere la decisione meno egoistica e decisamente più nobile.
 
Virna Castiglioni
 

Emilia Perez

Giovedì 09 Gennaio 2025 15:11 Pubblicato in Recensioni

Una torta composta da molti ingredienti ma perfettamente amalgamati per donare allo spettatore la convinzione di aver assaporato qualcosa di nuovo, strano, ma sicuramente ricercato e di ottima esecuzione.

Il film racconta la storia drammatica di un boss di un cartello del narcotraffico messicano. Manitas è un feroce criminale. La sua vita prende una svolta quando il suo desiderio di abbandonare un' esistenza pericolosa diventa impellente ma soprattutto si risveglia in lui quella volontà, sopita a lungo, di mutare anche il genere sessuale di nascita. Nell' ombra nel quale si muove disinvolto,   intercetta l’avvocato Rita Castro vedendo in lei chi potrebbe riuscire, dietro lauto compenso, a realizzare il suo sogno, permettendogli di ricostruirsi, impunito, una nuova identità.

Rita Castro, interpretata magistralmente da Zoe Saldana, è una giovane donna di colore brillante e preparata nella sua professione forense ma dipendente da un capo bianco meno dotato di lei. Le arringhe vincenti presentate in aula dal suo superiore sono frutto unicamente del suo studio e della sua preparazione. Sebbene non sia orgogliosa di difendere criminali e colpevoli certi, è costretta a farlo conseguendo sempre anche ottimi risultati. In una società malata e corrotta dal denaro chi è più ricco ha anche la possibilità di comprarsi l’assoluzione, indipendentemente dal reato commesso. Quando due insoddisfazioni si incontrano l’unione di intenti può fare miracoli.
Castro accetterà, per denaro e voglia di riscatto, di assecondare il desiderio di Manitas di realizzare un profondo cambiamento. Manitas non sarà l’unico personaggio ad evolversi a e cambiare. Lui, la sua giovane moglie Jess (altra interpretazione vincente affidata a Selena Gomez) e la giovane avvocatessa rappresentano nel racconto tre riscatti, tre ripartenze, tre rivincite, tre evoluzioni. Il regista anche nelle sue pellicole precedenti è sempre stato molto interessato alle storie di cambiamenti ed Emilia Perez non fa eccezione.
Attraverso la musica, le coreografie e le canzoni Jacques Audiard racconta una storia nera senza sminuire e banalizzare mai. Ci trasporta in un melodramma, in un musical mantenendo però sempre vigile il focus su un racconto di riabilitazione morale.
La regia opera un iniziale straniamento funzionale a catturare totalmente l’attenzione dello spettatore. Una volta agganciato quest’ultimo viene trascinato in un vortice di musica orecchiabile, balli, canzoni riuscendo nel compito assai difficile di non perdere mai il baricentro sul racconto di un’esistenza violenta e criminale. Lo spettatore si ritrova totalmente coinvolto, attratto dalla vicenda umana e incuriosito da un racconto estremamente lucido che si avvale però molto dei toni edulcorati della commedia e del musical. Le attrici scelte sono perfettamente in parte, sanno incarnare modelli diversi, sono paradigmi differenti di come si può subire il male e di come ci si può ribellare ad esso. Se per l’avvocato la conoscenza, lo studio, la preparazione meticolosa sono lo strumento di affrancamento e di rivincita per il Chapo è il pentimento che smuove la coscienza e riabilita un vecchio sogno di essere qualcun altro rinnegando il passato che lo ha reso potente e ricchissimo quanto disumano. Jess è la giovane moglie che vive di passione e si abbandona ad essa totalmente relegando la razionalità e il bene supremo ad un angolo sempre più piccolo fino a farlo scomparire del tutto.

Audiard si conferma abile nel comporre un affresco a tinte forti capace di suscitare continuamente emozioni. Il film si conclude, forse, nell'unico modo possibile e anche un pò prevedibile ma, da maestro consumato, sa stupire ancora un'ultima volta per mettere il punto finale ad un opera che spariglia le carte ma lo fa per ricomporre subito dopo un meraviglioso nuovo disegno.

Virna Castiglioni