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Familia

Mercoledì 02 Ottobre 2024 17:33 Pubblicato in Recensioni
Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo autobiografico “Non sarà sempre così” (edizioni Piemme) di Luigi Celeste, reo confesso dell’assassinio del padre e, per questo reato, condannato a scontare una pena di nove anni di reclusione. La vicenda nota alle cronache rivive sullo schermo grazie a Francesco Costabile, già apprezzato per la sua opera prima “Una femmina” del 2022, regista sensibile e istintivo che confeziona un racconto che, pur mantenendo la sua estrema drammaticità e non togliendo alcuna parte di cieca violenza, riesce comunque a non incupire e a non chiudere completamente a sentimenti di speranza e di riscatto. In questo viaggio nel dolore sceglie un cast di assoluta levatura. Barbara Ronchi è immensa nel ruolo della madre amorevole ma succube di un uomo violento, iroso, affetto da una gelosia malata e ossessiva. In un lavoro costante di sottrazione appare in tutta la sua bravura che risulta estremamente efficace nel restituire le sfaccettature di una donna combattuta tra la costante ricerca di una normalità matrimoniale di moglie e madre e la consapevolezza granitica che non potrà cambiare niente perché di quell’uomo "non ci si potrà mai liberare".  Francesco Di Leva rende al personaggio del padre tutta la forza e l’arroganza di un uomo che condiziona le vite dei suoi congiunti anche in assenza, anche quando è lontano, perfino quando è in carcere come un’animale feroce che segue e cerca il momento propizio per braccare le proprie prede e renderle vittime annientando le loro personalità. Commovente l’interpretazione di Francesco Gheghi (Premio meritatissimo per la Miglior interpretazione all’ 81° Festival del cinema di Venezia dove il film è stato presentato in concorso nella sezione Orizzonti) che opera anche una trasformazione fisica corporea per immedesimarsi in quel ragazzo dall’animo dolce e delicato che diventa forte e aggressivo per riuscire a difendere chi non ha gli strumenti per farlo, assumendo su di sè una croce pesante che lo segnerà per sempre ma lo renderà anche libero regalando la stessa libertà anche ai suoi affetti più cari. Anche gli altri attori comprimari sono estremamente efficaci nel riportare questa vicenda di solitudine e desolante abbandono che costringe ad un epilogo efferato per riuscire ad uscire da un tunnel di sopraffazione e umiliazione perenni.
 
Il film fa rivivere, avvalendosi di inquadrature strette e di molteplici primi piani tutta l’oppressione e il controllo maniacale che vive questa famiglia che cerca di sopravvivere, interpella le istituzioni, si fida delle autorità per avere maggiori tutele, si disintegra e si perde assorbendo giorno dopo giorno un male che come un cancro lavora sotto traccia per poi esplodere con la potenza deflagrante di un ordigno.
 
Il film “Familia” è un costante e calibrato gioco di sguardi. Gli occhi sono l’elemento primario che ci conduce nell’anima recondita dei personaggi.  Lo specchio dei loro pensieri più intimi, dei loro timori, delle lo loro pene e sofferenze. Gli sguardi che si incontrano e dicono più delle parole che il più delle volte sono utilizzate come paravento per schermare un dentro fatto di sopruso e vergogna e un esterno che non deve sapere troppo per non rischiare di aggravare ancora di più la situazione sempre sull’orlo del precipizio.
 
Un film che si fa urgente in una società che ha sempre più spesso rigurgiti di ritorno ad una visione arcaica della famiglia intesa come familia così come si è scelto di intitolare la pellicola nella sua etimologia che ci restituisce un significato anacronistico ma ancora perseguito in alcuni ambienti e in alcuni gruppi sociali. Familia deriva da “famulus “ cioè servo e indicava nell’antica Roma il gruppo di servi e schiavi di cui facevano parte anche figli e moglie di proprietà del pater familias.
 
Francesco Costabile sceglie di non giudicare, facendo parlare il più possibile i fatti per come si sono svolti pur inserendo anche qualche sostanziale differenza, riuscendo però solo in parte nell’intento di non far credere allo spettatore che l’unica via di uscita dalla violenza sia l’utilizzo della stessa. Un film che però interroga per tutta la sua durata soprattutto perché la violenza privata è facilmente esportabile all’esterno se non viene arginata e sconfitta al suo nascere come dimostra l’affiliazione del protagonista ad una banda di neofascisti dove gli stessi stilemi di abusi e di sopraffazione imperversano ma sono, cosa ancora più grave, anche ritenuti legittimi e applicabili a vari contesti.
 
La violenza domestica è una pianta infestante che può essere estirpata solo in sinergia e implica lo sforzo costante di vigilanza e intervento tempestivo da parte di tutti coloro che la osservano e la intercettano.
 
La società tutta è sollecitata per la costruzione di una risposta efficace che riesca a mettere un punto definitivo necessario per una ripartenza ma che primariamente ponga in stato di sicurezza e protezione tutti i soggetti coinvolti preservandoli il più possibile da ulteriori traumi psicologici. 
 
Virna Castiglioni
 

Beyond Alien: H.R. Giger al Mastio della Cittadella di Torino

Venerdì 29 Novembre 2024 17:19 Pubblicato in News

Al Mastio delle Cittadella di Torino, fino al 16 febbraio 2025, si potranno ammirare le opere di H.R. Giger, artista svizzero reso celebre per aver dato i natali allo “xenomorfo” la sua creatura più famosa e iconica che lo ha reso per tutti il papà di “Alien” e che gli ha consentito anche di conquistare il premio Oscar per gli effetti speciali.

Giger non è solo questo ma tanto altro e la mostra ha proprio il duplice intento sia di regalare ai seguaci e agli estimatori della sua complessa arte una raccolta esaustiva della sua produzione ma anche quello di far avvicinare un pubblico più ampio e meno informato affinché possa conoscere nel dettaglio e approfondire il mondo di questo affascinante artista, che ha spaziato in tanti ambiti diversi a partire da quello cinematografico nel quale ha lasciato un segno tangibile e indelebile.  

Una mostra che arriva in Italia a dieci anni esatti dalla sua scomparsa e in una suggestiva location ripropone, suddivise per tematiche, l’apporto multidisciplinare di un Maestro che ha dedicato la sua vita alle sue ossessioni facendole divenire meravigliose opere d’arte.   

Artista poliedrico che ha utilizzato con perizia varie tecniche: aerografo, olio su tela, china su carta e la scultura.

In un percorso che si snoda su più piani siamo condotti all’interno del suo mondo fatto di mostri, incubi, visioni surreali resi in dipinti, sculture e disegni che ripropongono in svariati modi le sue tematiche ricorrenti.

Il sesso come primaria fonte di ispirazione, la complessità e la mostruosità della civiltà post-moderna globalizzata, la religione, la musica, l’occulto, la biomeccanica proprio per il legame indissolubile fra mondo organico e mondo artificiale, la vita e la morte, l’inconscio umano in un caleidoscopico specchio che tutto riflette e tutto distorce.

 

Le opere raccolte a Torino, in un percorso museale curato nei dettagli da Marco Witzig, provengono per la maggior parte dal Museum Hr Giger che si trova a Gruyères da lui stesso aperto e ora diretto da Carmen Giger, vedova del Maestro.

L’artista del mistero e dell’occulto in questa raccolta museale allestita con estrema attenzione riesce nell’intento di raggiungere anche persone non particolarmente appassionate a questa tipologia di arte contemporanea e distanti da questa visione artistica contribuendo a rendere ancora più affascinante questa produzione così particolare e così originale da determinare ancora oggi molteplici influenze su artisti che a lui si ispirano per la loro arte.

 

 

Virna Castiglioni

 

 

 

 

 

Trifole. Le radici dimenticate

Giovedì 17 Ottobre 2024 17:14 Pubblicato in Recensioni
Trifole ci parla di due generazioni apparentemente distanti che non hanno molto in comune invece la vita di chi inizia ad affacciarsi al mondo e a coglierne le innumerevoli opportunità ma a fare i conti anche con gli annessi inevitabili pericoli può essere molto simile a quella di colui che è arrivato alla fine della sua esistenza terrena e si imbatte in una fase di smarrimento che è il lascito di malattie degenerative subdole e vigliacche contro le quali abbiamo ancora armi spuntate e inefficaci.
 
Se però per un giovane perdersi è solo un momento che presuppone fermarsi per abbandonare il vicolo cieco imboccato per errore ma potersi mettere nuovamente alla ricerca per ritrovare la retta via per un anziano invece smarrirsi significa intraprendere un percorso che non ha alternative ma ha solo bisogno di tutto l’affetto e l’amore possibili per poterlo affrontare nel migliore dei modi, senza inutili sofferenze.
 
In trifole Igor è un nonno solo e Dalia è la nipote che arriva in suo aiuto, mandata dalla madre sia per tenere sotto controllo il padre ma anche per allontanarla da un ambiente che non la vede felice.
 
Igor è interpretato da un bravissimo Umberto Orsini che presta a questa storia delicata tutta la sua esperienza di attore teatrale navigato. Ci regala un personaggio carismatico, autorevole ma anche infinitamente dolce. Riversa la sua tenerezza sia sulla nipote Dalia, arrivata da Londra per assisterlo nelle sue esigenze quotidiane, dispensandole consigli di vita preziosi ed insegnamenti per districarsi nel difficile compito di attraversare la giovinezza irta di insidie.  E’ soprattutto un padrone affettuoso per il cagnolino Birba che è sempre stato il suo migliore alleato nel lavoro di trifolao così come viene chiamato colui che nelle Langhe cerca i tartufi, quelli pregiati bianchi di Alba venduti a prezzi esorbitanti e oggetto di mire di personaggi spregiudicati che non si fanno scrupoli.
 
Un film semplice nel suo impianto che tante volte si fa semplicistico per la presenza di passaggi e snodi narrativi che non sempre risultano credibili ma anzi ridicolizzano un po' la storia che ha però il pregio di mantenersi favola, racconto edificante che dispensa una morale costruttiva e condivisibile circa il potere enorme degli affetti veri di riparare le ferite esistenziali e di far fronte ai torti subiti con la saggezza di chi sa che bisogna saper accettare tutto quello che non è in nostro potere cambiare.
 
La storia innalza a veri e propri protagonisti sia la musica che ci avvolge e ci trasporta, la fotografia che ci regala scorci di vera poesia su colline che alternano filari di vigneti, boschi fitti e colline che disegnano un orizzonte di struggente bellezza.
 
Virna Castiglioni
 

National Gallery 200

Domenica 20 Ottobre 2024 17:10 Pubblicato in Recensioni
Per celebrare i duecento anni dalla fondazione della National Gallery (1824) esce questo interessante documentario che racconta dalla viva voce di coloro che hanno vissuto e continuano a frequentare i suoi spazi cosa significhi avere a disposizione una galleria gratuita che permette di usufruire di un patrimonio artistico di inestimabile valore e di apicale bellezza.
 
L’arte non è un privilegio di pochi e parla un linguaggio universale che è in grado di essere compreso da chiunque si metta in ascolto e sia predisposto ad accogliere il bello che è insito in opere che rivelano la loro forza e il loro fascino a ogni generazione che si sussegue in un percorso che si snoda fra genitori e figli, nonni e nipoti e ha il grande potere di lenire le sofferenze, di rassicurare, di infondere stupore e procurare gioia e serenità.
 
Ognuno entra in contatto con l’arte in modo personale e dialoga con essa in modo intimo e profondo.
 
Dall’addetto alla sicurezza, dalla direttrice marketing, dalla guida museale, dalla principessa Eugenia di York al semplice uomo comune che sente l’esigenza di contemplare qualcosa di unico originale e di estremamente ricco e suggestivo.
 
La National Gallery londinese è un tempio sacro che si fa per tutti luogo di incontro e di ristoro dalle proprie pene terrene, uno spazio di calma e di meditazione, di raccoglimento e di profonda commozione. Non bisogna essere esperti e saper disquisire di arte in maniera tecnica, il quadro ha un linguaggio semplice e diretto e colpisce lo spettatore al cuore e alla mente instaurando  con lui un dialogo d’elezione.
 
Il documentario assurge lo spettatore a protagonista assoluto e ne fa il perno sul quale gira tutto il racconto, il visitatore del museo è colui che permette all'opera d'arte di vivere, di sfidare le insidie del tempo, di raccontare sempre qualcosa di attuale e proprio per questo di riuscire a rimanere eterna. 
 
 
Virna Castiglioni