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5 settembre - La diretta che cambiò la storia

Giovedì 13 Febbraio 2025 21:37 Pubblicato in Recensioni

La storia in diretta seguita da 900 milioni di persone mentre sta accadendo. Il primo grande evento mediatico trasmesso in mondovisione coincidente con un fatto drammatico. Le Olimpiadi estive del 1972 sono state investite da un enorme importanza ancora prima che avessero luogo. Erano il simbolo della rinascita dopo le due guerre mondiali, il teatro dove il mondo tornava ad unirsi per un evento di pace. Quel suolo tedesco dal quale era partita anni prima una sentenza ingiusta di odio e morte verso il popolo ebraico. Invece tutte queste aspettative furono disilluse.  Un gruppo di terroristi palestinesi facenti capo all'organizzazione "Settembre nero" che rivendicava la liberazione della Palestina fecero irruzione nel villaggio olimpico e tennero in ostaggio undici atleti israeliani. Nei primi concitati momenti uccisero un allenatore e un atleta. Da questo momento in poi fu una corsa contro il tempo ma anche l'occasione per la rete televisiva americana Abc di lasciare un segno indelebile, di diventare la cassa di risonanza e il riflettore capace di mostrare just in time quello che avveniva. TV verità e momento di massima tensione politica che si uniscono in quel "5 settembre" che dà il titolo alla pellicola. La Germania ancora una volta messa sotto giudizio per i suoi comportamenti di gestione dell' emergenza. Si scopre che all' interno del villaggio olimpico non erano presenti guardie armate. Forse per fare dimenticare al mondo intero cosa era avvenuto di aberrante, quando uno spazio era stato delimitato e presieduto da milizie. I giochi olimpici intanto proseguono. Anche in redazione qualcuno scioglie la tensione accumulata assistendo dal monitor a qualche competizione. Ad un certo punto tutto precipita. I terroristi chiedono e ottengono un trasferimento in elicottero al più vicino aeroporto con l'intenzione di dirigersi al Cairo. Nello scalo di Furstenfeldbruck succede l'irreparabile e il bilancio finale sarà di un' intera compagine agonistica sterminata oltre ad un poliziotto tedesco. Anche il commando palestinese, composto da otto fedayyin, subirà cinque perdite. La regia, asciutta e rigorosa crea suspense e tensione drammatica per tutta la durata del film. Per fare questo stringe sempre più il campo, utilizza primi e primissimi piani degli attori coinvolti. Il contesto è tutto in quella redazione giornalistica che punta i propri obiettivi, dissemina le proprie telecamere e sguinzaglia i suoi redattori per essere sul pezzo prima degli altri. Non dovrebbe essere una gara in quanto la posta in gioco è altissima ma il diritto all' informazione, l' ambizione ad essere i primi a documentare creano un cortocircuito di coscienza che tiene in scacco tutti i soggetti coinvolti. Quando la drammaticità della notizia irrompe laconica scritta su un telegramma il filo teso si spezza. Si vorrebbe tanto tirare un sospiro di sollievo che non può avvenire. Le scritte in sovraimpressione che ricordano i fatti avvenuti realmente sono stringate e durissime e lasciano lo spettatore con un nodo in gola. Ancora una volta sul suolo tedesco ebrei innocenti morti.

La commistione fra cronaca di un evento telegiornalistico si intreccia e rimane invischiato con un fatto di politica internazionale. Il gruppo terroristico Settembre Nero che irrompe con forza e brutale violenza e utilizza un evento mondiale per rivendicare una lotta e sopraffare innocenti da immolare ad una causa più grande. Gli ostaggi in cambio del rilascio di 200 prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Pena la loro uccisione.

Ottimo cast di attori diretti da un' efficace regia che sa trasferire allo spettatore sentimenti di angoscia, adrenalina per l' occasione di essere ad un centimetro dalla storia, voglia di conoscere ogni singolo dettaglio. Tutto questo senza dare mai l'impressione di forzare o caricare in modo artefatto la situazione. Tutto il racconto risulta molto credibile. Potrebbe essere andato davvero in questo modo il back stage della telecronaca di un sequestro che ha portato all' uccisione di tutti i membri della squadra olimpica di un Paese, gettando un' ombra nera su una manifestazione di celebrazione sportiva pacifica.

 

Virna Castiglioni

 

The Last Showgirl

Sabato 22 Marzo 2025 21:31 Pubblicato in Recensioni
Shelley è una ballerina che da ormai trent'anni si esibisce a Las Vegas in uno spettacolo che fa dei lustrini e delle piume il suo cavallo di battaglia. Balla una coreografia semplice che gioca le sue carte migliori puntando tutto su costumi succinti che mettono in mostra più le doti fisiche che quelle artistiche. Non è il suo sogno di bambina, ma è la carriera per la quale ha deciso scientemente di sacrificare anche l'amore dell'unica figlia. Ora che non è più giovane e vede finire tutto quello che ha costruito rendendo vani tutti i suoi sacrifici non è disposta a rinunciarci. Lotta con tutte le sue forze per riuscire a trovare di nuovo un posto su un palco perché bisogna fare il lavoro che si desidera per riuscire a sopravvivere in un mondo che non fa sconti e si fa ogni giorno più difficile. Il film è un faro acceso puntato sul viso di Pamela Anderson (nel suo primo ruolo drammatico che ci fa dimenticare la bomba sexy che ha rappresentato sullo schermo per troppo tempo).  Si concede senza remore alla regista Gia Coppola che la dirige in un racconto duro, vero, spietato. Si mostra al naturale, con le sue rughe, i seni cadenti sempre strizzati in un corpetto che poco lascia all'immaginazione. In scena indossa grandi ali che si incastrano nelle porte, si lacerano e fanno perdere preziosi soldi, quelli trattenuti dal compenso per apportare le riparazioni. Shelley è arrivata all'ultima spiaggia, è sul viale del tramonto, sa di essere alla fine ma fino all' ultimo si aggrappa all' illusione di poter conservare un po' di quella luce che le ha permesso di sentirsi amata, ammirata, desiderata, forse anche capita. Ha un' amica che come lei non è più giovane ma si è già rassegnata a svolgere un lavoro che non ha nulla di artistico. Serve cocktails in un club ed è costantemente umiliata vedendosi passare davanti giovani ragazze più fresche e disinibite. La scena del suo balletto solitario, al centro del locale, su un cubo, sotto gli sguardi indifferenti degli avventori sulle note della struggente ballade di Bonnie Tyler "Turn around (Total eclipse of the heart) è l' emblema di un film che prende per mano lo spettatore e lo costringe a guardare tutto lo squallore di chi svolge un lavoro che disprezza perché per quello che si vorrebbe fare veramente non c'è più tempo e non c'è più spazio. 
Un film duro, livido, sporco, che non concede mai nemmeno un piccolo sprazzo di speranza. Rimane appiattito e monocorde insistendo nel mostrare un' unica sola faccia della medaglia, rimestando sempre nel torbido.
Las Vegas, la città che non dorme mai, accoglie solo lavoratori giovani e belli per garantire il divertimento più sfrenato a chi può spendere per la sua notte brava. Tutto il resto è relegato a una patetica macchietta. 
Il rapporto con la figlia che, ormai adulta la giudica e la condanna, non è approfondito ed un'occasione mancata che avrebbe donato maggiore profondità e spessore alla storia. Rimane un'incontro fugace frutto di un desiderio di riconciliarsi con il passato per perdonarsi di un male volontario ma necessario che è stato inflitto ma si è anche scelto per se stessi come conseguenza minore pensando di poter regalare un futuro migliore a chi si ama. Molto interessante la contrapposizione tra il luogo chiuso del locale, le luci forti del palco che segnano la distanza con la penombra che gravita intorno e che metaforicamente inghiotte tutto quanto. La pace e il sogno sono invece rappresentati da albe e tramonti che sanno ammantare anche le periferie più squallide di poesia a rimarcare quanto non esista nulla di veramente brutto quando si insegue un sogno.
 
Si cerca di fare quello che si ama anche se lo si è costretti a fare in un contesto difficile. Si va in scena per l'ultima volta con il sorriso, da professioniste collaudate, perché "The show must go on". 
 
Virna Castiglioni

Il bambino di cristallo

Sabato 22 Marzo 2025 21:25 Pubblicato in Recensioni

La malattia di un figlio è una sventura che rischia di disintegrare la coppia oppure può essere la prova del nove che verifica la solidità del legame.  Il primogenito Austin, figlio della coppia protagonista Scott e Theresa, è stato un "incidente", una sorpresa che ha scombussolato i piani di entrambi e li ha fatti crescere in fretta. Una malattia genetica rara trasmessa dalla madre rende le ossa di questo bambino, di cristallo, e lo spezza in più punti per ben 14 volte fino ai 13 anni. Questa è l'età di quando ha inizio il racconto e, attraverso un lungo flash-back, conosciamo la storia d'amore dei genitori, un paio di pantaloni di colore verde che ha fatto da involontario Cupido e tutte le traversie legate all'osteogenesi imperfetta di cui soffre sia la madre (anche se in forma meno grave) che il primogenito protagonista della storia. Siccome le disgrazie non vengono mai sole questo bambino è anche autistico. Dopo pochi anni la coppia diventerà nuovamente genitore. Questa volta il secondogenito Logan è perfettamente sano. In questo racconto si assiste ad un eccessivo uso di tutela, massima è la cautela riservata ad una storia che trae spunto dalla vita reale ed è già stata raccontata in un libro. 

La regia tende ad edulcorare il tutto rendendo ogni cosa ammantata di troppa tenerezza. Anche quando la coppia litiga e si separa sembra che lo scontro e la conseguente separazione avvenga fin troppo educatamente senza troppi strascichi o recriminazioni. In un modo troppo civile che sembra artefatto. Il lieto fine comunque è sempre dietro l'angolo. Non c'è mai nessuno effetto sorpresa. I dialoghi sono così stucchevoli che sembrano essere ripresi da milioni di altri film romantici. Non c'è mai un cambio di registro. Tutto si mantiene molto ben calibrato in un'ottica di film esclusivamente per famiglie. Se l'intento era cercare la comprensione questa è solo superficiale perché si tende a pensare che nella realtà non possa essere stato tutto così accettato, accettabile come se la disgrazia fin da subito sia stata accolta come meravigliosa opportunità di miglioramento personale e familiare. Qualora invece la direzione cercata fosse la commozione il risultato è, se possibile, ancora più lontano. Non vi è trasporto intenso e si assiste ad una esegesi dei fatti che lascia un pò perplessi non suscitando nemmeno particolare vicinanza emotiva. 

 

Virna Castiglioni

Biancaneve

Sabato 22 Marzo 2025 20:20 Pubblicato in Recensioni

"Biancaneve" in questo nuovo remake della fiaba classica è la sola vera protagonista e nessuno degli altri personaggi ha davvero la forza e la spinta giusta per emergere. Rachel Zegler nei panni della principessa orfana è di una solarità e dirompenza che appanna tutto il resto. Il film, per certi aspetti, non si discosta dal classico che vide la luce nel 1937. Quando si attiene all'originale funziona decisamente meglio. Gli stessi abiti che sono indossati ricordano in modo preciso quelli storici che sono entrati nell'immaginario collettivo. Non ci sono deviazioni, cambi di rotta, tutto sembra riportare indietro nel tempo. Quando il film, invece, prende le distanze dalla trama tradizionale, e purtroppo lo fa spesso, lo fa sempre in modo maldestro. Del film funziona molto meglio la parte recitata che non quella animata. I sette nani non sono decisamente all'altezza di tutto il resto. Ma già dal titolo scelto siamo edotti a pensare che in questo remake non siano stati considerati così importanti ma trattati alla stregua di una mera appendice che si mantiene solo per non snaturare del tutto la storia. Appaiono però un intermezzo che sembra preso da un altro film e montato poi in fretta con la parte rimanente. La partitura musicale è invece sorprendente, i testi sono ricchi di significato e accompagnano la crescita di questa bambina che però non si chiama più in questo modo perché ha la pelle candida (e infatti l'attrice, pur essendo straordinaria, non la possiede) ma perché è nata in una notte di bufera e ha saputo sconfiggere il generale inverno. C'era proprio bisogno di dare una spiegazione o si poteva soprassedere in altro modo? Purtroppo non è la sola forzatura alla quale si assiste. Un eccesso di politicamente corretto che ha davvero un po' stancato. Il cuore del capriolo che avrebbe dovuto ingannare la perfida regina è diventata una mela rossa (sarebbe stato meglio non mostrare affatto il contenuto e non suscitare una gratuita ilarità), il principe azzurro che dovrebbe salvare la principessa è diventato un amico speciale (ma non è la differenza più grave) perché è pure un bandito e un suddito, il bacio salvifico non è più un bacio vero e appassionato, è un appoggiare le labbra per svegliarla soltanto.  Sarà lei a fare tutto, a conquistare di nuovo il suo regno perché questa Biancaneve del 2025 è impavida, fiera, onesta e vera ma soprattutto basta a sé stessa e sa affrontare da sola la temuta Regina che si disintegra al suo cospetto. La presenza scenica di Biancaneve è nettamente superiore e relega sullo sfondo tutto quello che ha intorno. Più che una principessa buona e remissiva è diventata una virago pronta ad ad affrontare ogni avversità. Mette in riga anche i nani e, non crolla più addormentata perché ha rassettato la casina nel bosco ma, come un generale di ferro li fa diventare un'impresa di pulizie sotto la sua supervisione. Le coreografie sono un po' pacchiane ma nel complesso sontuose e sapranno conquistare le piccole donne alle quali il film è principalmente destinato. Potrebbe sembrare una debacle ma, in realtà, questa fiaba ha in sé un potere intrinseco talmente forte e sprigiona così tanta magia e un sempiterno fascino che nessuna operazione bislacca di renderla più attuale e in linea con i tempi di una società che si preoccupa più del linguaggio che di cambiare in meglio la sostanza delle cose, potrà mai scalfire.

Virna Castiglioni