"Thelma" è una dolce nonna di 93 primavere rimasta vedova ma ancora in grado di badare a sé stessa, nonostante le riserve dei familiari che la vorrebbero controllare anche a distanza attraverso l' utilizzo di un dispositivo elettronico. Un giorno, sola in casa, riceve la telefonata di due truffatori che si fingono prima il nipote vero artefice di un incidente stradale che ha causato il ferimento di una donna incinta e poi del complice che gli intima di depositare in una casella postale ben 10.000 dollari per poter pagare la cauzione e permettere il rilascio del giovane accusato di aver provocato il sinistro. Questo evento vile scatena in un attimo la confusione di Thlema che si precipita in preda ad una forte agitazione all'ufficio postale per inviare il denaro quanto prima e cercare di dare una mano, per quanto è in suo potere. Nel frattempo allerta i familiari che, in breve tempo, si accorgono del raggiro e, pur cercando di rassicurarla, si convincono che la loro parente non può più rimanere in balia di sé stessa senza rischi. Un film che prende spunto da fatti di cronaca sempre più frequenti che interessano persone fragili e vulnerabili e su questi avvenimenti costruisce una brillante commedia sul senso della vita. "Thelma" parla del tempo che scorre inesorabile erodendo affetti che se ne vanno, di malattie che subentrano minando autonomia e indipendenza ma soprattutto rammenta che il vero dramma del secolo nel quale viviamo è rappresentato dalla solitudine che può diventare prigione per chi non può contare su una rete familiare di supporto che possa accompagnare nel difficile passaggio dalla vita attiva a un' esistenza che necessita di sempre maggiore e costante assistenza.
Ambientato in Iran, con protagonista una coppia di anziani, è la storia di una profonda solitudine. Mahin è una donna vedova da molto tempo e con la figlia lontana, emigrata in Europa. Trascorre il suo tempo principalmente in casa accudendo le piante del suo bellissimo giardino. Non vede molto spesso le amiche anche se vorrebbe e non ha neppure occasione di frequentare luoghi pubblici in cerca di nuove amicizie. Questo anche perché vive a Teheran dove vige un controllo serrato e dove la polizia morale esige il rispetto di regole severissime, alcune assurde. Però un giorno, a pranzo in un ristorante, nota un uomo anch'esso solo e scatta in lei qualcosa. È ora di prendere di nuovo in mano la vita, ricominciare a volersi bene, dare ascolto alle amiche che la vorrebbero di nuovo sistemata. Al tavolo opposto al suo siede un uomo anch'esso solitario e decide di fare il primo passo. Un passo faticoso ma necessario per cercare di ritrovare un po' di felicità. "Il mio giardino persiano" che nel titolo originale, in linea con il finale scelto si intitola "My favourite cake" è un film delicato, che parla di buoni sentimenti, della capacità di affidarsi a qualcuno e anche della voglia, dopo tante rinunce e troppi dolori, di prendersi una rivincita e di lasciare il passato alle spalle ricominciando a ridere ancora, a ballare di nuovo, a divertirsi. Tutti hanno diritto ad essere felici e, a volte, basta davvero poco per riuscirci. Il film si avvale di un cast di attori che recita con grande naturalezza conferendo alla storia raccontata un sapore genuino. La coppia formata dagli attori Lili Farhadpour e Esmaeel Mehrabi ha una chimica speciale e fa immediatamente scattare la vicinanza con lo spettatore. Quest' ultimo è anch'egli invitato, come il tassista timido e impacciato Faramarz, a varcare la soglia e ad entrare in una casa umile ma decorosa dove non risuona ancora la musica ma ha tutto quello che serve per iniziare a danzare. Purtroppo, si sa, al destino piace giocare brutti scherzi e non sempre quello che sembra essere naturale, giusto, auspicabile e prevedibile avviene. Un peccato veniale commesso per rendersi più sicuro di sé stesso e non rischiare di sfigurare si trasforma nella causa involontaria che fa crollare tutto il castello di sogni che si stava faticosamente costruendo. Non resta nient'altro da fare, ancora una volta, che accettare la mala sorte ma continuare a lottare per raggiungere un posto al sole e non spegnere mai più le luci che, riparate da mani pazienti e amorevoli, hanno saputo rischiarare un angolo di mondo rimasto al buio per troppo tempo. Il racconto privato, così emozionante, è anche una critica sottile e velata ma persistente al regime repressivo iraniano, soprattutto nei confronti delle donne, che nega loro, a differenza degli uomini con cui si mantiene più lasco, fondamentali diritti che agli occhi degli occidentali sembrano impossibili da mettere in discussione ma per coloro che vivono in Iran sono invece sempre in bilico e possono essere disconosciuti da un momento all'altro.
Virna Castiglioni
Una torta composta da molti ingredienti ma perfettamente amalgamati per donare allo spettatore la convinzione di aver assaporato qualcosa di nuovo, strano, ma sicuramente ricercato e di ottima esecuzione.
Il film racconta la storia drammatica di un boss di un cartello del narcotraffico messicano. Manitas è un feroce criminale. La sua vita prende una svolta quando il suo desiderio di abbandonare un' esistenza pericolosa diventa impellente ma soprattutto si risveglia in lui quella volontà, sopita a lungo, di mutare anche il genere sessuale di nascita. Nell' ombra nel quale si muove disinvolto, intercetta l’avvocato Rita Castro vedendo in lei chi potrebbe riuscire, dietro lauto compenso, a realizzare il suo sogno, permettendogli di ricostruirsi, impunito, una nuova identità.
Rita Castro, interpretata magistralmente da Zoe Saldana, è una giovane donna di colore brillante e preparata nella sua professione forense ma dipendente da un capo bianco meno dotato di lei. Le arringhe vincenti presentate in aula dal suo superiore sono frutto unicamente del suo studio e della sua preparazione. Sebbene non sia orgogliosa di difendere criminali e colpevoli certi, è costretta a farlo conseguendo sempre anche ottimi risultati. In una società malata e corrotta dal denaro chi è più ricco ha anche la possibilità di comprarsi l’assoluzione, indipendentemente dal reato commesso. Quando due insoddisfazioni si incontrano l’unione di intenti può fare miracoli.
Castro accetterà, per denaro e voglia di riscatto, di assecondare il desiderio di Manitas di realizzare un profondo cambiamento. Manitas non sarà l’unico personaggio ad evolversi a e cambiare. Lui, la sua giovane moglie Jess (altra interpretazione vincente affidata a Selena Gomez) e la giovane avvocatessa rappresentano nel racconto tre riscatti, tre ripartenze, tre rivincite, tre evoluzioni. Il regista anche nelle sue pellicole precedenti è sempre stato molto interessato alle storie di cambiamenti ed Emilia Perez non fa eccezione.
Attraverso la musica, le coreografie e le canzoni Jacques Audiard racconta una storia nera senza sminuire e banalizzare mai. Ci trasporta in un melodramma, in un musical mantenendo però sempre vigile il focus su un racconto di riabilitazione morale.
La regia opera un iniziale straniamento funzionale a catturare totalmente l’attenzione dello spettatore. Una volta agganciato quest’ultimo viene trascinato in un vortice di musica orecchiabile, balli, canzoni riuscendo nel compito assai difficile di non perdere mai il baricentro sul racconto di un’esistenza violenta e criminale. Lo spettatore si ritrova totalmente coinvolto, attratto dalla vicenda umana e incuriosito da un racconto estremamente lucido che si avvale però molto dei toni edulcorati della commedia e del musical. Le attrici scelte sono perfettamente in parte, sanno incarnare modelli diversi, sono paradigmi differenti di come si può subire il male e di come ci si può ribellare ad esso. Se per l’avvocato la conoscenza, lo studio, la preparazione meticolosa sono lo strumento di affrancamento e di rivincita per il Chapo è il pentimento che smuove la coscienza e riabilita un vecchio sogno di essere qualcun altro rinnegando il passato che lo ha reso potente e ricchissimo quanto disumano. Jess è la giovane moglie che vive di passione e si abbandona ad essa totalmente relegando la razionalità e il bene supremo ad un angolo sempre più piccolo fino a farlo scomparire del tutto.
Audiard si conferma abile nel comporre un affresco a tinte forti capace di suscitare continuamente emozioni. Il film si conclude, forse, nell'unico modo possibile e anche un pò prevedibile ma, da maestro consumato, sa stupire ancora un'ultima volta per mettere il punto finale ad un opera che spariglia le carte ma lo fa per ricomporre subito dopo un meraviglioso nuovo disegno.
Virna Castiglioni
"Io sono ancora qui" è un affresco familiare nel Brasile degli anni bui della dittatura militare. Prima della rivoluzione del 1964 Rubens Paiva era un deputato laburista e aveva tutto quello che un uomo perbene può desiderare per essere felice e condurre un'esistenza appagata. Un lavoro impegnato, una moglie innamorata e complice e cinque splendidi figli che portano allegria e confusione in una bella villa arredata con gusto e tenuta con ordine. Una casa sempre aperta ad amici con cui trascorrere il tempo fra conversazioni serie ma anche tanti momenti conviviali e spensierati. Il pericolo però è appena fuori dalla porta e si fa sempre più aggressivo. È minaccioso. Intimorisce. Sembra poter rivolgere i suoi strali sulla figlia maggiore Veronica che simpatizza per i movimenti studenteschi antigovernativi avversi al Regime.
L' occasione per toglierla da un pericolo che potrebbe lambirla fino ad inghiottirla giunge propizio da una famiglia amica che prende la decisione di trasferirsi a Londra e non esita ad estendere l' invito a seguirli. Loro non accetteranno ma lasceranno che la loro primogenita si allontani in cerca di un futuro migliore.
Tutto sembra tornare ad una pseudo normalità anche se soffiano venti preoccupanti. Si susseguono nel Paese rapimenti di intellettuali e sequestri di ambasciatori che vengono utilizzati come merce di scambio a fini politici.
Un giorno che sembra essere come gli altri fra l' allegria dei ragazzi che vivono di fronte alla spiaggia e si alternano fra giochi e rientri repentini al solo scopo di mangiare qualcosa velocemente e cambiarsi per poi tornare di nuovo fuori irrompe la violenza. Vile, bieca.
Il padre viene arrestato e portato in caserma per riferire e chiarire avvenimenti che lo riguardano. Poco dopo la stessa sorte verrà subita dalla moglie e dalla secondogenita. Se per le due donne l'incubo fortunatamente giunge ad una conclusione veloce il padre e marito amorevole, invece, non farà mai più ritorno. Il regista Salles ci racconta una delle peggiori pagine della Storia del Paese carioca ma, a differenza di molte altre pellicole, sceglie di raccontare il dramma dal punto di vista di chi resta, di coloro i quali devono affrontare una perdita ma devono anche farsi forza per andare avanti. La madre Eunice lo deve ai suoi cinque figli. Si impone di rimanere lucida e razionale, cerca con ogni mezzo a sua disposizione di proteggere chi è stato investito da un dolore troppo grande senza averne colpe e senza poter sapere le reali motivazioni che hanno determinato questa situazione.
Per questo racconto di resistenza, pacifico e composto, il regista si avvale di un' attrice immensa che da metà pellicola in avanti porta sulle sue minute spalle tutto il peso della narrazione.
Intensa e perfettamente in parte nel rappresentare la dignità e la compostezza di chi non può permettersi il lusso di piegarsi al dolore ma deve imporsi di sorridere e cercare di regalare alla propria famiglia, sebbene mutilata e umiliata, una parvenza di normalità conservando un po' dell'armonia che regnava prima che tutto precipitasse.
Il film è tratto dal romanzo omonimo autobiografico di Marcelo Rubens Paiva ultimogenito della coppia protagonista della pellicola e, al tempo dei fatti, solo un bambino che viveva felice in un gineceo di sorelle più grandi.
Con una rigorosa ricostruzione degli avvenimenti, senza mai calcare la mano, il regista restituisce allo spettatore una sincera e profonda commozione.
La regia appare misurata, senza eccessi. Non esagera nel mostrare ma semmai fa intuire senza esporre troppo. Non racconta mai più del necessario.
La fotografia firmata da Adrian Teijido restituisce la bellezza naturale di un luogo baciato dal sole, ne cattura tutta la desolazione quando l' ambientazione è la claustrofobica cella di detenzione o l' ufficio tetro e buio dove si svolge l' interrogatorio sommario, sottolinea la nostalgia e la sofferenza quando si è costretti ad abbandonare la casa familiare per iniziare una nuova vita che avrà colori diversi.
Il commiato affidato ad un'altra attrice cara al regista suggella con un tocco di tenerezza quello che rimane di una straordinaria storia che assurge a simbolo di migliaia di altre storie simili e uniche in un Paese che ha costretto interi nuclei familiari a fare i conti con una pagina cupa della Storia che ha distrutto vite, cambiato destini, sparso immenso e gratuito dolore ed è rimasta nella memoria collettiva come una ferita che non si è mai rimarginata del tutto ma rimane ancora oggi pulsante e suppurante.
Presentato in concorso all' ultima mostra internazionale cinematografica di Venezia il film si è aggiudicato, meritatamente, il premio per la migliore sceneggiatura. L' attrice protagonista non è stata insignita della prestigiosa Coppa Volpi ma è riuscita a conquistare il Golden Globe e questo risultato è il giusto coronamento di un lavoro attoriale superbo.
Virna Castiglioni
"Luce" è interamente sorretto dall' intensa interpretazione della protagonista Marianna Fontana. Per l'intera durata i registi Bellino e Luzi utilizzano primi e primissimi piani per scrutare e restituire allo spettatore ogni suo stato d'animo e ogni cambiamento, anche millimetrico, che si determina con il passare dei giorni e degli avvenimenti che si susseguono. Il suo giovane viso è la cartina di tornasole di quello che ha intorno ma che appare sempre sfocato, indistinto, evanescente. Il contesto è un luogo fisico che sembra però essere immaginario e immaginifico. La regia blinda lo spettatore e non gli concede quasi mai di allargare lo sguardo, anche nelle poche scene che prevedono la presenza di altri personaggi è sempre tutto ricondotto a questa giovane ragazza e al suo modo di reagire a quello che subisce quotidianamente. È sola, svolge un lavoro usurante, non ha un amore, vive di desideri. Per resistere in quel deserto culturale che attraversa si costruisce un personaggio che diventa il suo alter ego, una donna ideale che potrebbe essere se non fosse compressa, costretta in un luogo squallido, a condurre una vita miserabile, privata degli affetti più cari. Si inventa un modo per evadere dalla sua prigionia mentale cercando di raggiungere l'unico legame di sangue che ancora le rimane. Il padre detenuto che non vede da anni. Grazie ad una intuizione (un telefono recapitato con un drone) e, ricercando la complicità di un estraneo, potrà ripristinare, forse, un dialogo interrotto. Da questo momento in poi il colloquio telefonico con il padre (vero o presunto) diventerà lo sprone per alzarsi al mattino, l' unico motivo di vita, talmente importante da rischiare punizioni. Sarà il solo unico confidente, diventerà l'amico, il fulcro di tutto. Il film ripropone uno schema già visto in altre pellicole passate. Tra tutte "Locke" di Steven Knight e il film italiano di Manfredi Lucibello "Non riattaccare". Non sempre però funziona questo gioco teso fra un personaggio che vive alla luce del sole anche se è pieno di lati oscuri e un' altro che non conosceremo mai se non attraverso la voce (in questo caso quella profonda e intensa di Tommaso Ragno), nell' ombra ma in grado di portare uno spiraglio di luce in chi lo ascolta.
Un film che, con coraggio e un po' di spregiudicatezza, indaga l' animo umano. Fa di tutto per restituire i sentimenti e le emozioni che si possono provare quando si vive una vita di privazioni, in primis affettive, non si ha una direzione, un esempio da seguire, non si trovano appigli e proprio come un gattino che prova ad allontanarsi per cercare qualcosa di migliore non riesce più a trovare la strada di casa.
Un film intimista che non arriva immediatamente ma ha bisogno di sedimentarsi nell' animo e nel cuore dello spettatore che rimane a lungo in attesa di una svolta, di un colpo di scena ma si deve accontentare di un finale aperto sperando in un lieto fine.
Virna Castiglioni